Un libro scoraggiante: l’industria della carità

16

bokHo letto il libro-inchiesta L’Industria della carità, ed Chiarelettere, 2013, scritto da Valentina Furlanetto – giornalista di Radio 24 già conduttrice di “Senza fine di lucro”.

Avevo bisogno, nel leggere il libro, di capire come si fa un’inchiesta, come si racconta il non profit, i suoi problemi, le sue contraddizioni, le sue potenzialità. Certo, ne avevo letto stralci su Repubblica, Corriere e Libero, e le anticipazioni non mi avevano ben impressionato. Poi Elena Zanella e il prof Zamagni (ancora lui, ma l’anno sabbatico non è più di moda nelle università?) lo avevano stroncato.
Ma non sono il tipo da farsi influenzare.
Certo, però, quell’intervista sul sito dell’editore … mi aveva sinceramente un po’ deluso perché le argomentazioni e gli esempi che la giornalista portava erano veramente approssimativi, mischiava questioni diverse, le truffe, gli sprechi, l’adozione sempre più frequente degli strumenti tradizionali di marketing, la caccia all’emergenza in luogo della cooperazione.
Vabbè, non si saprà tanto promuovere – mi sono detto – non è da tutti saper parlar davanti alla telecamera; anche se a ben pensarci, lei è da una vita che sta davanti al microfono di Radio 24.
Rompo gli indugi e inizio la lettura.
Apro il libro e dopo alcune ore lo termino. Lo appoggio sul tavolo, alzo gli occhi.
Confesso a me stesso che se io fossi un lettore mediamente ignaro del non profit ma interessato alle cause sociali e a quelle umanitarie (dono, faccio volontariato, vedo gente …) chiuderei indignato il libro. Valuterei d’ora in poi il non profit con gli archetipi suggeritimi dalla giornalista e  penserei del non profit tutto il male possibile.
E quindi mi chiedo, rimettendomi le vesti di persona informata dei fatti, non è che la Furlanetto ha sbagliato qualcosa?
Perché, è bene che si sappia, lo scenario, cioè la realtà è nettamente diversa.
La giornalista confonde i temi ed il lettore.
Vediamo i temi. La Furlanetto parla di raccolte fondi, interventi umanitari, festini nelle residenze dei cooperanti, bambini in vendita per le adozioni, problemi di governance, trasparenza dei bilanci, opacità dei bilanci, investimenti sbagliati, 5 per mille, Pavarotti & Friends, testimonal, greenwashing, croce rossa, commercio equosolidale e altro ancora.
Troppi temi, descritti con troppa leggerezza. L’unica parte che mi ha colpito profondamente e che ho apprezzato è stata quella relativa ai bambini in vendita. Lì, dove la giornalista fa nomi e cognomi di enti di adozione quanto meno sprovveduti, rilevando anche le responsabilità della Cai, descrive uno spaccato tragico di realtà, in modo efficace e arriva inoltre a conclusioni condivisibili.
Ma degli altri argomenti sembra avere una conoscenza superficiale.
Del 5 per mille non dice dove stia il paradosso, tutto dalla parte statale.
Non dice che è stato tagliato, notizia data dal Sole 24 Ore a maggio 2012, e che i fondi vengono dati in enorme ritardo.
La giornalista non ritiene scandaloso il fatto che il Ministero non risponda pubblicamente da sette mesi sulla sorte di 80 milioni di 5 per mille decurtati senza dire nulla e senza apparente ragione.
Parlando di scandali, truffe e malversazioni – come quello del CCS di Genova alcuni anni fa, o quello più recente dell’attore Costa – la Furlanetto non cita i nuovi casi, ben più pesanti dal punto di vista del peso specifico degli enti e dei soggetti coinvolti.
Come può essersi dimenticata del San Raffaele, o dello scandalo della Fondazione Maugeri?
Sulla questione delle false onlus o delle truffe con le onlus, o ad opera o per mezzo delle onlus, la questione peraltro è a mio avviso di una semplicità quasi offensiva.
Tre sono le questioni.
Primo: è possibile che ci sia chi truffa attraverso le onlus? Sì, sta nelle cose, purtroppo. Per ridurre il rischio bisogna alzare l’asticella, fornire le autorità pubbliche di maggiori strumenti di indagine, ecc. poi è una questione di “ordine pubblico” e di controllo del territorio anche da parte dei cittadini.
Perché, invece di gettare fango qualunquista sulle organizzazioni, non si è detto che in Italia l’Agenzia delle Entrate non rende pubblica l’anagrafe delle Onlus?
Perché il governo dei tecnici ha chiuso l’Agenzia del terzo settore (fatto del quale la giornalista non parla, anche se si è verificato nella primavera scorsa), unico soggetto istituzionale che – se solo avesse avuto un po’ di coraggio – avrebbe potuto portare il cambiamento nei costumi del non profit, oltre che nella considerazione che la burocrazia ha del non profit?
Seconda questione: Perché mai i giornalisti non sanno mai fare questa semplice distinzione: il dolo è una cosa, la colpa è altro.
Perché non sanno separare chi ha amministrato un ente per farsi ricco, e chi invece amministra in modo non efficiente un’organizzazione?
C’è una bella distinzione non solo dal punto di vista penale, ma soprattutto da quello morale, della cosiddetta fiducia tradita. Se presento il ladro allo stesso modo di chi spende più del dovuto (quanto è il dovuto?) in comunicazione, faccio un favore al ladro e criminalizzo chi disegna complesse strategie di gestione dell’ente non profit.
Come risultato non è un granché.
Terza: numeri? Qual è l’incidenza delle “false onlus” o delle truffe sul numero totale di enti, e a quanto ammonta la somma rubata agli ignari donatori sul totale delle entrate del non profit italiano?
La domanda è di una semplicità sconcertante, ma nessuno la pone. Mira a definire se la truffa stia di casa nel non profit, oppure se vi siano solo – esecrabilissimi – casi isolati.
Statistiche non ve ne sono, e quindi un buon giornalista dovrebbe di certo raccontare i casi, dire ai cittadini come difendersi, suggerire come le brave onlus possono distinguersi da quelle meno brave, chiedere all’amministrazione pubblica di fare la sua parte. E poi aggiungere: questi sono i casi isolati venuti alla luce. Cittadini enti non profit, istituzioni e media devono far sì che si conosca l’incidenza del malaffare nel non profit sul totale del “vero” non profit.
A chi alzasse il ditino e opponesse la difficoltà di conoscere dati derivanti da reati in parte non scoperti, faccio notare che si riesce persino a stimare il fatturato presunto delle mafie, dell’economia sommersa e dei vari traffici; mi chiedo quindi quando ci si deciderà ad interessarsi del non profit. Giusto per tracciare finalmente i confini verosimili del fantomatico mondo delle truffe delle onlus.
Parlando del tema della poca efficienza nel non profit che scaturirebbe dalla lettura dei bilanci delle maggiori organizzazioni italiane, anche martedì 22/1 sera alla presentazione del libro nella libreria Feltrinelli la giornalista ha detto – citando a spanne ma direttamente CharityNavigator (sito di classificazione delle non profit americane sulla base di dati bilancistici) – che lo standard del rapporto di efficienza tra i costi dell’attività di supporto e quelli totali è 20 su 100, e quindi 20 vanno a queste spese e il restante 80 deve andare alle attività istituzionali.
Ovviamente mai e poi mai quei precisini di CN avrebbero buttato al vento anni di investimenti dicendo una bestialità del genere.
Giusto per dare un’idea. CN divide gli enti in 9 categorie a loro volta divise in 34 “cause”. Per gli americani, il concetto di efficienza non è fumo negli occhi, è una cosa seria, e pertanto dicono
“A Charity Navigator ci rendiamo conto che i diversi tipi di organizzazioni funzionano in modo diverso. Questa diversità non è una brutta cosa. Piuttosto, i diversi tipi di enti di beneficenza hanno risorse e necessità di spesa differenti. Ad esempio, la nostra ricerca dimostra che i musei hanno costi di gestione superiori alla media rispetto ad altri tipi di enti di beneficenza. Siamo in grado di tenere conto di questa variazione dei dati perché sappiamo quanto sia costoso per i musei mantenere le loro strutture e collezioni. Per garantire che stiamo prendendo questo tipo di differenze in considerazione, e quindi confrontando le mele con le mele e non le mele con le arance, abbiamo sviluppato le seguenti tabelle di rating …”
Lineari, consequenziali, diretti. Io li amo! Poi si può criticare CN per i rischi che si corrono sul fatto di prendere in considerazione i soli dati economici e non anche quelli sociali (peraltro sul sito dicono che ci stanno lavorando). Critiche che anche da questo sito non tarderanno a venire, ci sto lavorando.
E comunque CN non dice 80 su 20. Non esiste 80 su 20.
Eviti di stracciarsi le vesti la giornalista nell’elencazione pedissequa dei dati di bilancio di alcune non profit, dicendo quanto spendono in questa organizzazione, quanto spendono in quest’altra. Quale è virtuosa e quale no. Ma stiamo scherzando? Se mai avesse preso a modello i veri indicatori di CN – cosa che non ha fatto – avrebbe comunque fatto male, perché l’Italia non sono gli USA e quindi i costi che un’associazione ambientalista sopporta in Italia non li sopporta in USA.
In un aspetto la giornalista ha ragione da vendere, ovvero sul fatto che le organizzazioni maggiori e medio – grandi devono (imperativo morale) pubblicare i bilanci (economici e sociali) sui siti. Gli esempi che fa sono davvero illuminanti, vi invito a leggere la parte sulla Fondazione Veronesi, ad esempio.
Per ultimo, il lettore mediamente ignaro del non profit, citato all’inizio.
La giornalista si è interessata di un argomento poco sondato e studiato.
Aveva una prateria sterminata da percorrere e nella quale accompagnare il lettore. Ogni giornalista sogna di essere il primo – o quasi – a parlare in modo sistematico di un argomento, di essere riconosciuto come l’esperto della materia (non per vanagloria ma perché ci sono argomenti che hanno davvero una marcia in più).
Ma la Furlanetto ha perso l’occasione, è andata in confusione come i miei figli nelle interrogazioni.
Nella vasta prateria c’era solo una legge da seguire. Fai tu il sentiero, ma fai in modo che quel sentiero abbia un senso, una direzione, che porti a qualcosa.
Ed invece, la nostra si è persa e trascina dietro di sé i suoi lettori meno informati. Un esito del quale non andrei tanto fiero.
Della serie … “ma papà ti manda sola?”
Carlo Mazzini
Di seguito le risposte di alcune organizzazioni citate nel libro:

 

Greenpeace

Agire

Medici senza frontiere

 

Related Posts with Thumbnails
Share.

About Author

16 commenti

  1. Grazie per il report. Urlare e generalizzare (lin queste edizioni lo si fa sin da nome, dal titolo e dal formato) è sempre superficiale; e la superficialità è scoraggiante, umiliante, specie per chi cerca di orientare le proprie scelte, l’impegno, e magari il proprio lavoro, all’altro e al bene comune. Diversa cosa è, come ben sa l’autore di questo blog, la provocazione, che è orientata al confronto, allo stimolo, specie se in essa vi corrispondenza tra il livello di informazione/approfondimento con quello della sottigliezza delle lame…

  2. Come sempre preciso, razionale e piacevolissimo da leggere. Del tutto condivisibile. Grazie al cielo, proprio per la sua pochezza, il libro andrà a riempire presto le bancarelle di libri usati, come gli altri della serie. Resta a noi il dovere di evitare che qualcuno offra il destro per operazioni così scriteriate. Di cui poi paghiamo il danno. Tutti.

  3. Paolo Bittanti on

    Buongiorno,
    ero anch’io presente all’incontro in Feltrinelli ed ho sentito anche critiche costruttive al libro e testimonianze concrete di operatori del settore su come si possa e si debba operare una seria riflessione su come innovare e “depurare” il terzo settore. Se c’è una cosa buona del libro è quella di lanciare un dibattito quanto mai atteso e doveroso nell’opinione pubblica, magari anche attraverso trasmissioni autorevoli come REPORT o PRESA DIRETTA, tutto partendo della consapevolezza che l’autocritica fa bene alla parte sana del terzo settore, che è la gran parte.
    Invece, mi rammarica constatare una generale (quanti hanno letto tutto il libro fino in fondo?) levata di scudi da parte di ampi settori della stampa specializzata, pur riconscendo alcuni limiti e generalizazioni del libro che ho spulciato quà e là.

    • L’incontro in Feltrinelli è stato a dir poco imbarazzante. Ho sentito i suoi interventi molto precisi e concilianti gettati in pasto a chi non ne sapeva nulla.
      Io, che in certi frangenti mi sento inadeguato perché poco paziente rispetto all’ottusità altrui (diversamente da lei), ho preferito rimanere in silenzio, ben conscio che comunque non poteva trasformarsi una presentazione del libro in un processo all’autrice.
      Non lancia alcun dibattito il libro. Parla di un settore del quale non si conosce lo spessore.
      Cordiali saluti
      cm

      • Paolo Bittanti on

        Buongiorno,
        guardi che io non ho fatto nessun intervento all’incontro in Feltrinelli; mi sono limitato anch’io ad ascoltare: forse si confonde con il cooperante con gli occhiali che non ha rivelato, credo, il nome dell’Associazione per cui lavorava.
        Cordiali saluti anche a lei,
        Paolo Bittanti

  4. Caro Carlo, come sempre apprezzo la tua serena schiettezza.
    Per dovere morale mi sento in obbligo di fare qualche piccola precisazione a proposito della Fondazione Veronesi che tu citi.
    Anzitutto la Fondazione Veronesi non è una onlus, come la giornalista scrive, ma un ente di diritto privato iscritto nel registro delle Prefettura di Milano e da essa vigilato. Per l’ordinamento giuridico italiano questa fattispecie di enti NON è soggetta all’obbligo di redazione del bilancio di esercizio… cosa che, invece, la Fondazione fa dal giorno della sua istituzione, ossia dal 2003, con relativa certificazione dello stesso a cura di una società di revisione esterna.
    Il bilancio non è sul sito unicamente perché i numeri dicono molto, tanto, ma hanno un difetto: non spiegano. E di conseguenza si prestano a tutte le interpretazioni possibili. Nel bene e nel male. Chi nel tempo ci sostiene e ha chiesto di vedere come vengono impiegati i fondi, lo ha sempre puntualmente ricevuto (così come del resto la giornalista che lo ha richiesto…), oltreché toccato con mano i nostri progetti.
    La Furlanetto non capisce come vengono spesi i fondi raccolti o impiegati i fondi del 5×1000 (fermo restando che esiste un obbligo di rendiconto spesa ai competenti ministeri… )? Se la stessa, una volta entrata sul sito FUV, invece di limitarsi a cercare il “bilancio” avesse speso un po’ del suo prezioso tempo e fosse andata nella sezione “nostri progetti”, avrebbe trovato un elenco ben dettagliato con: nomi/cognomi dei ricercatori, foto, struttura ospitante e progetto di ricerca… Credo che questa si chiami TRASPARENZA VERIFICABILE!? Tenendo presente che ciascuna borsa –versata al ricercatore- vale 27.000 euro e le borse attivate sono state 95, è facile fare di conto… (Non Xmila euro spesi per la costruzione di 100 pozzi d’acqua nel remoto villaggio rurale africano di Atapkamé…) Unitamente all’erogazione di 26 grant per progetti di ricerca pluriennali nell’area dell’oncologia, della cardiologia e neuroscienze, per un totale deliberato di 2.800.000 euro.
    (PS Se può interessare, per il 2013, dato reperibile sempre sul nostro sito, sono state assegnate 100 nuove borse di ricerca, 25 borse a copertura del conseguimento del PhD SEMM e deliberato il sostegno a 12 nuovi progetti di ricerca. Naturalmente sempre con nome/cognome, etc…)
    Credo che garantire oggi in Italia uno stipendio più che dignitoso a 125 ricercatori, oltreché sostenere numerosi gruppi di lavoro impegnati nella ricerca contro il cancro, sia una cosa di cui andare fieri.
    Non voglio dilungarmi troppo. Però ho ancora qualche sassolino nella scarpa che vorrei togliermi…
    1-La giornalista è “scocciata” per le numerose “sollecitazioni” che ha dovuto fare per ricevere l’ultimo bilancio FUV… ??? La sua richiesta è giunta via email all’ufficio stampa il 17 luglio. Quella settimana, fortuna mia, non ero in ufficio poiché assistevo la mia compagna che aveva appena partorito ed al mio rientro, vista la mail, ho comunicato alla giornalista (ma questo naturalmente non l’ha scritto…) che il CdA si sarebbe riunito per l’approvazione del bilancio il giorno 24 luglio e successivamente a quella data mi sarebbe stato possibile inviarglielo. E così è stato. Se per 10 giorni di attesa dalla sua prima email si è infastidita tanto da doverlo scrivere, mi spiace! Dovesse mai ricapitare, cercherò di far ritardare/anticipare un eventuale nuovo parto…
    2-Bilancio Sociale. Il Bilancio Sociale è –ovviamente- successivo all’approvazione del bilancio di esercizio datato 24 luglio (naturalmente anche il bilancio sociale è certificato da una società esterna…). E’ vero che a settembre non era online, ma a novembre si! Se la giornalista non ha avuto tempo/voglia di verificare e fa più comodo scrivere che non c’è, beh, forse dovrebbe rivedere la sua metodologia di lavoro.
    3- In ultimo, la giornalista scrive, in tono ironico, che “…i sostenitori saranno anche felici di sapere che tra le voci di spesa ci sono affitto, auto, tasse…” vero, verissimo. Paghiamo le tasse e abbiamo ben due auto.
    La prima viene utilizzata dall’associazione “Aquila per la Vita” per l’assistenza ai malati oncologici terminali nei paesi dell’Abruzzo colpiti dal terremoto (unitamente al finanziamento di una borsa di studio per una psiconcologa che assiste pazienti e famigliari…)
    La seconda è impiegata dal Servizio Continuità Assistenziale dello IEO per garantire assistenza e trattamenti ai pazienti oncologici che non sono più in grado di recarsi nella struttura per ricevere le cure del caso o perché malati terminali…
    Credo valga la pena non commentare oltre perchè lo trovo imbarazzante.

    Il bilancio dice molto. Ma non dice tutto.

    Manuele Valsecchi

  5. Maria Teresa on

    A proposito di donazioni , gentile Carlo, le chiedo se secondo lei è
    Corretta questa procedura: un gruppo di dipendenti di una certa ditta si impegna a donare un importo per una onlus.gli stessi delegano uno di loro a raccogliere i fondi e a versarli con conto corrente postale a suo nome. I donatori autorizzano il”collettore”a detrarre la somma donata dalle proprie imposte in sede di dichiarazione ,rinunciando al beneficio che ne avrebbero loro versando individualmente.Mi Dicono che è
    Una prassi molto usata. Io sono molto perplessa sulla legittimità
    . La ringrazio.

    • A mio avviso è pratica altamente scorretta.
      Il risparmio fiscale va a chi fa la donazione nel senso di chi si priva (dalle proprie disponibilità) di una somma.
      Se i colleghi vogliono aiutare il collega gli donino quanto risparmiano versando personalmente!
      Ma che non si facciano questi pasticci, per carità!!!
      cm

  6. Salve,
    ancora non ho letto il libro però da un anno lavoro in una importante onlus e vi assicuro che ho riscontrato tante ma tante cose che non vanno. Il mondo del no profit non è perfetto e fare venire a galla i problemi è, secondo me, una cosa più che buona.

    • “Far venire a galla i problemi è cosa più che buona”; certo, sottoscrivo.
      Ma i problemi bisogna conoscerli, non bisogna confondere i piani logici, né dare informazioni parziali, e neppure riempire il calderone affrontando i temi più diversi senza alcuna attinenza tra loro.
      cm

  7. VOLEVO SAPERE COSA NE PENSA DI cSS ONLUS DI GENOVA, è AFFIDABILE PER QUANTO RIGUARDA LA ADOZIONI? GRAZIE MILLE. eUGENIO

  8. La questione anomala o.n.g. consiste che è divenuto un modo per farsi finanziare da tutti, anche dai “nemici”, proponendosi impegnate nella filantropia, ma poi condurre prioritariamente propaganda ideologica (marxista…). Questa tradizione si è avviata nel secondo dopoguerra perlopiù seguendo i gruppi mistici nel farsi passare “no profit”, in scopo di finanziarsi le spese di esercizio con donazioni, ma divenuto poi un modo per apparire eticamente meritevoli e incassare tanto ma soprattutto da tutti, anche quelli che se consci delle attività reali, si asterrebbero dal contribuirvi. Il pioniere dell’ “incassa e dimentica” fu probabilmente Sun Myung Moon, il santone coreano che facendosi legalizzare “no profit” dappertutto a suon di avvocati, riuscì a deviare alle sue aziende, centinaia di milioni di dollari. Questa epopea della truffa, la racconto nel mio libro “Sun Myung Moon e la Sindrome del Piccolo Dio” acquistabile su Amazon o scaricabile gratis qui http://lasindromedelpiccolodio.blogspot.it/

Reply To Paolo Bittanti Cancel Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Questo sito utilizza cookie per funzioni proprie. Se continui nella navigazione o clicchi su un elemento della pagina accetti il loro utilizzo Per maggiori informazioni vai in fondo alla pagina e clicca su "Privacy Policy"

Vai in fondo alla pagina e clicca su "Privacy Policy" - Per contattarci su questioni "Privacy" scrivi a "studiouno (chiocciola) quinonprofit.it"

Chiudi