Il fundraising nel paese dei balocchi

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I giorni scorsi è deflagrato l’affaire Balocco – Ferragni, a causa della decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (aka Antitrust) di sanzionare pesantemente gli attori in gioco.

Questi brevi appunti non sono quindi un riassunto di quello che è successo, dato che potete capirne gli snodi principali scegliendo tra i molti siti giornalistici – ad esempio l‘Ansa. Se volete andare “alla fonte”, potete leggervi per intero il testo dell’Antitrust scaricandolo da qui.

Queste righe sono un omaggio ai miei bravi colleghi fundraiser, una guida che spero possa essere utile a chi lavora ogni giorno in contatto con aziende interessate ad “accompagnare” la causa degli enti.

Premessa

Una premessa è d’obbligo. Nel commentare la vicenda è assolutamente necessario evitare qualsiasi retropensiero in merito alla simpatia / antipatia degli attori in campo, in modo che per una volta nella nostra vita non abbassiamo la questione a livello di derby, di tifoserie contrapposte, di una sfida tra ricchi contro poveri. Ognuno fa le considerazioni morali che ritiene più appropriate e che l’affaire di certo induce a fare (parteggiando per una fazione o per l’altra).

Ma … se si parla dei profili tecnici e si vuole capire come agire con serenità quando si entra in relazione con le aziende, le curve sud non servono, anzi distraggono dall’obiettivo che è, semplicemente, quello di capire. Fine della premessa.

Cosa pubblicizziamo

Inizio col dire che io l’avevo detto. Non sono un mitomane (o almeno non qui e adesso).

In tutti i corsi di formazione sull’argomento (corporate fundraising) e nelle consulenze rese agli enti, uno dei miei mantra è “coerenza”. Di nuovo: non in senso morale ma in quello fattuale.

Partiamo dalla fine, cioè dalla comunicazione. Se il rapporto con un’azienda si base nella sostanza sulla volontà di donare, allora festeggiamo, certo, ma poi esigiamo dai nostri comunicatori e dai suoi comunicatori la coerenza di trattare sempre e comunque la donazione come tale.

Nella vicenda Balocco – Ferragni è palese che questa accortezza di coerenza comunicativa non c’è stata.

Quando l’autorità afferma al paragrafo 22

“Le indicazioni contenute nei post e stories della Signora Ferragni (…) lasciano chiaramente intendere che l’iniziativa del suddetto Pandoro nasca con la finalità di sostenere economicamente un progetto benefico a favore della ricerca per i tumori ossei infantili”

vuol dire che è stato fatto un enorme errore di valutazione da parte dei comunicatori.

Anni fa dicevo che bisognasse abolire il gerundio in caso di donazione: cioè che non si dicesse “acquistando il prodotto X aiuti l’ente Y”. Questo per un semplice fatto. Il gerundio sottende un meccanismo di causa – effetto che o c’è o non c’è. In questo caso non c’era.

L’Autorità giustamente sottolinea il fatto che anche il solo fatto di aver fatto pensare (senza dirlo nei social, ma poi l’hanno detto nei comunicati stampa) che acquistando il prodotto si sarebbe aiutato l’Ospedale, ha voluto dire che si è data una comunicazione non corretta dei meccanismi della campagna.

Attenti alle email

Un altro aspetto che mi ha commosso – mi sembrava di rivedere le mie slide! – è quando ho letto che l’Autorità è andata a scandagliare le email delle parti in gioco trovandovi l’ulteriore prova (a dire dell’Autorità) della discrasia tra quanto comunicato e quanto realizzato.

Io l’ho sempre detto (ok, sono un mitomane)! Quando state perfezionando un rapporto con un’azienda sulla base di una sana donazione, se loro vi scrivono “per quanto riguarda la sponsorizzazione …” rispondete prontamente “Gentilissimi, ci permettiamo di correggere il termine da voi utilizzato. Come concordato, dal punto di vista formale e sostanziale il nostro rapporto è su base donativa. La sponsorizzazione è un’attività che, come vi è noto, non ha natura donativa ma di corrispettività”.

Ovviamente vale anche il contrario. Se state realizzando una sponsorizzazione o un contratto di licenza d’uso del marchio non chiamate e non fatela chiamare nelle email “donazione”, tanto meno nella comunicazione pubblica.

Come gira il fumo

Un altro aspetto centrale nella questione è che si vede lontano un miglio che le parti non hanno costruito correttamente la meccanica della “raccolta fondi”.

La società dolciaria ha donato in anticipo una somma all’ente beneficiario.

Poi si è girata dall’altra parte e ha contrattualizzato con le società della influencer al fine di rendere più appetibile (è il caso di dirlo) un suo prodotto e ci ha legato in modo estemporaneo la prima azione, quella della donazione.

Ma tra il contratto di donazione tra Balocco e ente e il contratto di licenza tra Balocco e la Ferragni non vi era alcuna relazione.

Per questo l’Antitrust ha ritenuto ingannevole la comunicazione dell’operazione.

Già non è semplice scrivere contratti di licenza né imbastire un rapporto di donazione tra un ente e una società. Figuratevi se poi i soggetti sono tre.

Sia l’attenzione che la professionalità nel pensare, scrivere e comunicare un’operazione a tre devono mantenersi molto alte, altrimenti l’errore si palesa facilmente portando a fraintendimenti notevoli.

Le modalità con le quali mettere in atto correttamente un rapporto a tre sono numerose e mi capita spesso di collaborare con enti non profit nell’imbastire meccaniche complesse che diventano virtuose quando gli attori in gioco mettono al centro, oltre al successo dell’operazione, anche il rispetto dell’acquirente del prodotto o del servizio oggetto della raccolta fondi.

Dove non esiste questa attenzione al rispetto dei clienti il pallone si sgonfia, inevitabilmente.

Concludendo

Chiudo questi appunti con una teoria infinita di domande.

Dov’erano i fundraiser? Quale funzione hanno avuto – se l’hanno avuta – i professionisti che meglio di tutti conoscono i temi che ho riportato?

Dal che deriva un’altra domanda.

L’ente beneficiato della donazione della Balocco ha avuto qualche ruolo in questo menage a trois? Pare di no, e forse per fortuna, dato che diversamente sarebbe stato oggetto anch’esso di sanzione.

Ed ancora.

Chi era l’ente? L’ente pubblico Ospedale Regina Margherita o uno dei tanti enti non profit privati che collaborano con l’azienda ospedaliera? Giusto per “trasparenza” non sarebbe male saperlo.

Da ciò deriva però un ulteriore quesito.

Siamo sicuri che vada sempre bene essere meri percettori di donazioni derivanti da rapporti tra altri due soggetti for profit, quindi essere estranei al processo decisionale della campagna, perché tanto l’importante è incassare i soldi?

Altra domanda da “genovese”.

Il prezzo – nel senso dell’importo incassato dall’ente – era quello giusto o ci si è venduti per un piatto di lenticchie? (spoiler: in questo caso si sono venduti per una ciotola bucata di fagioli andati a male!).

Le domande che vi dovete farvi voi, cari fundraiser, derivano da queste appena riportate.

Quale ruolo ricopre il mio ente nell’operazione di cause related marketing?

Quali sono le conseguenze, le prudenze, le tutele da attenzionare in questi casi?

Esiste una variabile fiscale che deve essere monitorata?

E infine la domanda cattivella.

Siamo sicuri che non verremo puniti per l’emozione di aver portato a casa il personaggio famoso e per l’hybris del “so tutto io, so come trattare questi casi” fosse solo per strappare un applauso da un CDA assolutamente impreparato a farsi anche solo mezza delle domande che vi ho riportato prima?

In una bella intervista a Vita condivisibile al 99%, Valerio Melandri afferma:

Se in mezzo, fra l’azienda e la Ferragni, ci fosse stata una organizzazione non profit o un fundraiser, questo sbaglio non sarebbe mai esistito: mai, è impossibile.


Valerio, come al solito pecchi di ottimismo. Sono sicuro che guardandoti attorno condividerai – almeno in cuor tuo – quante campagne tra aziende e non profit munite di fundraiser sono realizzate senza il rispetto che si deve al donatore / sostenitore.

Vogliamo allora dire che gli stessi fundraiser devono sempre chiedersi quali sono le priorità quando realizzano campagne e partnership con le aziende?

Carlo Mazzini

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