Fatture elettroniche e 398 del 91: pensieri post-natalizi

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A meno che un brindisi di troppo ci abbia causato un momentaneo obnubilamento… per le associazioni più grandi è terminata l’agevolazione IVA della legge 398/91.

Con l’intento di inseguire l’esenzione dall’obbligo di emissione delle fatture elettroniche, le associazioni sportive dilettantistiche e in generale tutte le associazioni in regime ex legge n. 398/91 (più oltre “regime 398/91”), con volume di proventi commerciali da 65.000 a 400.000 euro hanno perso la fonte di finanziamento derivante dall’IVA forfettizzata.

Questo è l’effetto principale dell’art. 10, commi 01 e 02, d.l. 119/2018.

Per quanto concerne l’IVA, il regime 398/91 prevede che:

  • l’IVA da versare sia pari al 50% dell’IVA incassata sulle operazioni attive (1/3 per le cessioni o le concessioni di diritti di ripresa televisiva e di trasmissione radiofonica)
  • l’IVA sugli acquisti inerenti l’attività commerciale sia totalmente indetraibile.

Come tutti dovremmo sapere, l’IVA è un’imposta armonizzata comunitaria e sebbene, fino ad oggi, la U.E. non si sia mai pronunciata apertamente sul regime 398/91, in realtà avrebbe ragione di farlo perché nella direttiva 2006/112/Ce non si prevede alcun regime forfettario IVA per le associazioni senza finalità di lucro.
Si pensi al fatto che le operazioni attive poste in essere dalle associazioni in regime 398/91 sono ad alto valore aggiunto perché, generalmente, le corrispondenti operazioni passive sono per lo più limitate.

Inoltre per le associazioni che lo utilizzano, si tratta di una fonte di sovvenzione nemmeno così insignificante.
L’importo corrispondente alla deduzione forfettaria rimane nelle casse dell’associazione e non costituisce materia imponibile ai fini del calcolo dell’IReS e dell’IRAP.

La riforma del terzo settore operata dal d.lgs. 117/2017 ha previsto la restrizione della fruibilità del regime 398/91, alle sole associazioni sportive dilettantistiche, a far tempo dal primo periodo di imposta successivo all’entrata in funzione del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (Runts).

Tutto questo nell’ottica di un progressivo riallineamento della posizione italiana rispetto alle direttive comunitarie IVA che non prevedono un trattamento così favorevole ancorché le operazioni siano poste in essere da enti non profit.
Considerato che la tabella di marcia per l’avvio del Runts è particolarmente in ritardo, ciò darebbe modo agli operatori di avviare una exit strategy adeguata.

Per gli amanti dei contorsionismi legislativi si rimanda all’art. 102, comma 2, lettera e), d.lgs. n. 117/2017 che, abolendo l’art. 9-bis, d.l. n. 417/91, ha eliminato lo strumento normativo che allargava la platea dei soggetti ammessi al particolare regime ex. legge n. 398/91.
L’effetto dell’abrogazione però è rimandato all’entrata in funzione del Runts secondo quanto disposto dall’art. 104, comma 2, d.lgs. n. 117/2017.

Fatte tutte queste considerazioni, veniamo ora all’art. 10, commi 01 e 02, d.l. 119/2018.

A parere di chi scrive si tratta di un caso di “scart’ frùsc’ e piglie primmér” che per i non partenopei si può tradurre in “scarta fruscio e prendi primiera” e il cui significato è “le cose non cambiano ma potrebbe andare peggio”, antesignano del “potrebbe sempre piovere” del film-culto “Frankestein Jr.”

Vediamo il perché.
L’originario testo dell’art. 10, d.l. 119/2018 prevedeva tutt’altra formulazione.
In sede di conversione in legge, al testo originario dell’art. 10, sono stati aggiunti i commi 01 e 02 la cui versione alla data del 26/12 è:

  1. All’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Sono altresì esonerati dalle predette disposizioni i soggetti passivi che hanno esercitato l’opzione di cui agli articoli 1 e 2 della legge 16 dicembre 1991, n. 398, e che nel periodo d’imposta precedente hanno conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo non superiore a euro 65.000;
    tali soggetti, se nel periodo d’imposta precedente hanno conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo superiore a euro 65.000, assicurano che la fattura sia emessa per loro conto dal cessionario o committente soggetto passivo d’imposta.».
    02. Gli obblighi di fatturazione e registrazione relativi a contratti di sponsorizzazione e pubblicità in capo a soggetti di cui agli articoli 1 e 2 della legge 16 dicembre 1991, n. 398, nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, sono adempiuti dai cessionari.

Alla data di chiusura di questo intervento (26/12), il Senato, nel votare la fiducia alla legge di bilancio per il 2019, ha eliminato il comma 02 la cui portata vedremo nel prosieguo di questo intervento.
Considerati i tempi stretti per l’approvazione della legge difficilmente saranno inserite nuove modifiche alla Camera: significherebbe avere un altro passaggio del testo al Senato per il quale non c’è il tempo.

Il primo periodo del comma 01 ci dice che le associazioni con meno di 65.000 euro di proventi commerciali continueranno ad emettere in forma cartacea e riscuoteranno l’IVA come sempre.
Fin qui tutto bene.

Con il secondo periodo iniziano però i guai perché tutti gli altri soggetti, cioè quelli con volumi di proventi da 65.000 a 400.000 euro devono assicurarsi (ma in che modo, solo fra Luca Pacioli lo sa) che la controparte (cessionario o committente) emetta una fattura in regime di inversione contabile (reverse charge) per tutte le operazioni, il che significa che non ci sarà alcun movimento monetario IVA dal cessionario o committente verso l’associazione, perché sarà il cessionario o il committente che autoliquiderà l’imposta, annotando la fattura sia nel registro degli acquisti che in quello delle fatture emesse.
La conseguenza è che le associazioni che si trovano in questa situazione non godranno più della sovvenzione pari alla deduzione forfettizzata dell’IVA sulle operazioni attive.

Se però le operazioni avvengono nei confronti di privati consumatori (B2C), non cambia nulla e si ritorna alla liquidazione classica dell’imposta con la forfettizzazione al 50% e l’introito finanziario dell’IVA forfettizzata.
E’ il caso, per esempio, della Asd che cede agli associati i gadget recanti il proprio marchio o del bar interno gestito dall’associazione di promozione sociale.

L’abrogazione del comma 02 eliminerà l’obbligo dell’inversione contabile per TUTTE le operazioni relative ai contratti di sponsorizzazione e pubblicità, non rilevando l’ammontare annuo dei proventi, posti in essere dai soggetti di cui agli articoli 1 e 2 della legge 16 dicembre 1991, n. 398, nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, per i quali gli obblighi di fatturazione e registrazione sono adempiuti dai cessionari.
Per queste operazioni, anche se poste in essere dalle associazioni con volume di proventi inferiore ai 65.000 euro, avrebbe prevalso il regime dell’inversione contabile con gli effetti che abbiamo visto in precedenza.

 

In conclusione
In conclusione le Asd e le altre associazioni in regime 398/91:

  • se hanno un volume di proventi commerciali inferiore a 65.000 euro continuano ad emettere le fatture cartacee e a riscuotere l’IVA forfettizzata per le operazioni diverse da sponsorizzazione e pubblicità
  • se hanno un volume di proventi da 65.000 a 400.000 euro non emettono fatture cartacee ma devono fare in modo che sia la controparte ad emettere e registrare la fattura in regime di inversione contabile, barattando così la sovvenzione data dall’incasso del 50% dell’IVA sulle operazioni attive (1/3 dell’iva per le cessioni o le concessioni di diritti di ripresa televisiva e di trasmissione radiofonica) contro l’obbligo della fatturazione elettronica
  • se le operazioni sono B2C per le quali non si emette fattura, resta tutto come prima, con forfetizzazione dell’IVA al 50% e corrispondente provento dell’IVA non versata.

Giampaolo Concari

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