Intervista possibile sulla 136 del 2010 e sulla pretesa impossibile di applicarla al 5 per mille

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Quella che segue è un’intervista assolutamente necessaria. Soprattutto a me.

Avevo bisogno di spiegarvi cosa fosse la L 136/10 (norma con la quale si intende limitare l’infiltrazione della criminalità nei rapporti tra amministrazione pubblica e aziende), quali possono essere le ricadute sul non profit, quali le richieste impossibili di una burocrazia capace solo di chiedere e mai di dare. Avevo letto qualche contributo – sul non profit e la 136 – e l’avevo giudicato ampiamente insoddisfacente in quanto gli autori rimestavano nell’acqua senza formulare ipotesi, senza dire come e quando si applica la legge per il non profit. Il che, trattandosi di pubblicazioni sul non profit, non l’avevo classificata come la migliore delle genialate.

Poi, il caso, il fato, la sorte, il destino: stamane leggo un illuminante articolo di un caro amico sul Sole 24 Ore di oggi (12.7.11) che dice in definitiva che non può pretendersi dall’ente non profit qualcosa di spropositato e di fuori luogo, anche fosse in nome di una fantomatica “sicurezza”.

E allora, sulla 136, sulle pretese impossibili della burocrazia, pongo tre domande tre all’autore dell’articolo,  dott. Antonio Cuonzo (Studio Legale e Tributario CBA)

Caro Antonio

sul Sole di oggi (12 luglio 2011) è comparso un articolo a firma tua e di Fulvia Montecchiani relativo alla pretesa del Ministero della Salute di richiedere ai beneficiari iscritti al 5 per mille per la ricerca sanitaria l’applicazione della L 136/10, norma che detta gli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari provenienti dall’amministrazione pubblica. Cosa chiede in concreto il Ministero?

La questione è abbastanza semplice: il Ministero vorrebbe applicare ai fondi del cinque per mille la disciplina prevista dalla legge 13 agosto 2010, n. 136 rubricata “Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia”. Si tratta, come il titolo stesso già anticipa, di previsioni destinate ad ostacolare il fenomeno delle infiltrazioni criminali nella contrattualistica pubblica attraverso la previsione (anche) di maggiori controlli sui movimenti di denaro da parte delle imprese e dei concessionari di finanziamenti pubblici.

L’art. 3 della legge 136/2010, al comma 1, dispone testualmente che: “Per assicurare la tracciabilità dei flussi finanziari finalizzata a prevenire infiltrazioni criminali, gli appaltatori, i subappaltatori e i subcontraenti della filiera delle imprese nonché i concessionari di finanziamenti pubblici anche europei a qualsiasi titolo interessati ai lavori, ai servizi e alle forniture pubblici devono utilizzare uno o più conti correnti bancari o postali, accesi presso banche o presso la società Poste italiane Spa, dedicati, anche non in via esclusiva, fermo restando quanto previsto dal comma 5, alle commesse pubbliche. Tutti i movimenti finanziari relativi ai lavori, ai servizi e alle forniture pubblici nonché alla gestione dei finanziamenti di cui al primo periodo devono essere registrati sui conti correnti dedicati e, salvo quanto previsto al comma 3, devono essere effettuati esclusivamente tramite lo strumento del bonifico bancario o postale”.

La norma oltre a fare riferimento agli “appaltatori, subappaltatori e subcontraenti della filiera delle imprese”, contiene anche il riferimento ai soggetti “concessionari di finanziamenti pubblici anche europei” il quale, però, viene poi ulteriormente delimitato dal legislatore con la circostanza che debba trattarsi di soggetti “… a qualsiasi titolo interessati ai lavori, ai servizi e alle forniture pubblici”.

Applicare queste disposizioni, significa per l’ente interessato, in concreto, utilizzare, per la gestione dei flussi finanziari in questione, uno o più conti correnti bancari o postali dedicati ed effettuare tutti i relativi movimenti finanziari tramite bonifico bancario o postale ovvero con altri strumenti di pagamento idonei a garantire la tracciabilità delle operazioni;  non solo: gli estremi del conto “dedicato” devono essere comunicati alla “stazione appaltante” o all’ente concedente entro sette giorni dalla loro accensione (se nuovi) ovvero dal loro primo utilizzo (se si tratta di conti già attivi); ancora: unitamente agli estremi del conto corrente dedicato, l’ente dovrà comunicare alla PA anche l’opera o servizio al quale il conto è dedicato, le generalità e il codice fiscale delle persone delegate ad operare sugli stessi e ogni successiva ed eventuale modifica dei dati trasmessi; è previsto inoltre che gli strumenti di pagamento debbano riportare il codice identificativo di “gara” (CIG) e, ove obbligatorio, il Codice Unico di Progetto (CUP); infine,  sul conto corrente dedicato, devono essere veicolati e tracciati anche i pagamenti che i soggetti obbligati effettuano, sempre in ordine all’esecuzione dell’opera o del servizio pubblico, a favore di dipendenti, consulenti e fornitori di beni  e servizi, anche qualora gli importi loro pagati non siano totalmente ed esclusivamente riferibili a una singola opera o a un singolo servizio pubblico, ma afferiscano a commesse o prestazioni diverse di tipo “privato”.

Perchè a tuo avviso è una richiesta che – per usare un eufemismo – non appare congrua?

Perché, nel caso dei fondi del cinque per mille, così come nel caso più generale delle erogazioni liberali effettuate dalle pubbliche amministrazioni, non esiste alcuna controprestazione dell’ente e quindi non può dirsi in alcun modo realizzato, a mio avviso, il presupposto di applicazione della legge 136/2010 che vuole, come detto, tracciare il flusso finanziario di “appaltatori, subappaltatori, subcontraenti della filiera delle imprese” nonché di “concessionari di finanziamenti pubblici … a qualsiasi titolo interessati ai lavori, ai servizi e alle forniture pubblici”. Figuriamoci poi nel caso del cinque per mille dove, oltre che non configurarsi alcuna controprestazione o fornitura pubblica, i fondi erogati, secondo la Corte Costituzionale, non sono fondi erogati dallo Stato ma sono fondi dei contribuenti che assumono la qualifica di erogazioni liberali che vengono solo “mediate” dallo Stato.

Forse al tema specifico non è stata data ancora la giusta attenzione (anche la più recente Determinazione del 4 luglio scorso dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici  non ha espressamente chiarito il tema delle erogazioni liberali agli enti non commerciali  anche se il tema è stato sfiorato affermando l’estraneità agli obblighi di tracciabilità delle erogazioni liberali direttamente erogate a favore di soggetti indigenti e dei contributi a fondo perduto alle imprese) con la conseguenza che, anche prescindendo dalla casistica del cinque per mille, sta accadendo che ad ogni contatto con la Pubblica Amministrazione gli enti non commerciali si sentano richiedere l’applicazione della legge 136/2010.

A tuo avviso, non basta la rendicontazione comunque già obbligatoria a partire dalle erogazioni relative il 5 per mille 2008?

Carlo, intendiamoci, qui non si discute dell’opportunità o meno di sapere dove vanno a finire i fondi del cinque per mille. Su questo credo che siamo tutti, ma proprio tutti, concordi sulla estrema necessità di dare conto ai contribuenti di come vengono spesi i soldi che loro destinano ai soggetti beneficiari del cinque per mille. A tal fine, come Tu stesso ricordi, esistono gli specifici obblighi di rendicontazione imposti dalle disposizioni sul cinque per mille; obblighi, come ben sai, che richiedono già una loro tracciabilità finanziaria e che, per rispondere alla Tua domanda, credo siano già sufficienti.  Aggiungere a questo la necessità di approntare tutto quanto appena ricordato sembra una richiesta per certi versi, se non eccessiva, almeno priva di legittimazione normativa.

Così parla il dott Cuonzo; e lo “quoto” – come si dice nei forum – in pieno.

Poi non sarebbe male approfondire ulteriormente la questione; detto che non ha senso chiedere l’applicazione della 136 nei rapporti erogativi (contributi), la si deve forse applicare nei casi di rapporti regolati da convenzione?

E nel caso la risposta fosse positiva, i costi di gestione di un sistema folle li copriamo con le donazioni delle persone, così da peggiorare performance di efficienza, farci dire che spendiamo tutto per la gestione dell’ente e tutto questo perché lo stato presume che facciamo tutti parte di ‘ndrine?

Curioso questo modo di pensare e le sue conseguenze.

Carlo Mazzini

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1 commento

  1. Giancarlo Mucchi on

    Sono il segretario di una Associazione Sportiva Dilettantistica e riceviamo abitualmente contributi comunali destinati allo svolgimento dell’attività istituzionale. Concordo in pieno con l’estensore dell’articolo. Anche secondo me questo tipo di erogazione non dovrebbe rientrare nel campo di applicabilità della legge 136/2010, proprio perchè non c’è controprestazione. Ma il comune erogatore la pensa diversamente e ci chiede i dati del cc, che noi comunque abbiamo già fornito in passato e sul quale sono sempre confluiti i contributi. Ma diventa una questione di principio: perchè sottostare a un obbligo burocratico se non è dovuto?

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