5 per mille e posta certificata

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Che tra i cittadini e la Pubblica Amministrazione si debba parlare (telematicamente) solo attraverso la posta elettronica certificata è anche accettabile. Ma ogni tanto la Pubblica Amministrazione dimentica qualcosa. Come per esempio che ci sono molti modi per evitare seccature ai cittadini.

Il primo punto è la questione dell’invio telematico del modello.
Non c’è un vero e proprio modello telematico, perché ciò che si invia è un documento cartaceo scansionato e quindi trasformato in forma digitale e al quale, con identico formato, viene allegata la scansione di un documento di riconoscimento del legale rappresentante.
Con ogni probabilità l’acquisizione del dato che interessa (il codice IBAN) avviene al momento del consolidamento dei dati inseriti nel form che si compila a video e l’invio dei documenti scansionati in formato pdf serve solo come evidenza riproducibile successivamente.
Con il che, sarebbe stato meglio (ai fini della conservazione del documento digitalizzato) chiedere il formato pdf/A. E cosa succede alle scansioni predisposte in formato jpg? e quelle mastodontiche (in termini di Mbyte) tiff? sono accettate ugualmente? Vanno bene a colori? in bianco e nero? Francamente mi sfugge la motivazione di questa corsa al digitale, perché dal punto di vista dell’autenticità (e quindi non ripudiabilità) del documento allegato (anche ad un messaggio PEC) gli attuali standard prevedono l’apposizione della firma digitale al documento stesso.

Questo perché l’invio di un messaggio di posta elettronica certificata (PEC) non assicura la riferibilità del messaggio ad un particolare soggetto e, soprattutto, l’integrità dei suoi allegati, ma solo la provenienza del messaggio e il suo “trasporto”. Ha la stessa validità di una raccomandata A.R.

Il secondo punto è che tutta questa complicazione potrebbe essere risolta se, al momento della compilazione dell’apposito modello in cui si richiede l’ammissione alla ripartizione dei fondi 5 per mille, si inserisse da subito il codice IBAN.

Perciò è molto facile concludere che la stessa operazione si sarebbe potuta ben più agevolmente ottenere rendendo telematico il modello per la richiesta di accreditamento su conto corrente bancario o postale dei rimborsi fiscali (da diversi anni già in uso in forma cartacea): attraverso un intermediario fiscale, si sarebbe potuto comunicare il codice IBAN che sarebbe stato acquisito già in un forma digitale e direttamente utilizzabile per le procedure di emissione dei mandati di pagamento.
La domanda allora sorge spontanea: ma ciò che si vuole ottenere è l’IBAN o l’indirizzo PEC della ASD?

Infine una domanda (quasi) di inutile buonsenso: ma la Pubblica Amministrazione non dovrebbe evitare di chiedere dati ai cittadini che sono già in proprio possesso?

Gianpaolo Concari

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