IMU ed enti non commerciali: ecco il DM che porterà non pochi problemi al non profit

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E’ stato pubblicato venerdì 23 novembre il Decreto 200/12 relativo all’individuazione, ai fini dell’esenzione IMU, delle attività non commerciali e di quelle commerciali, nel caso in cui un ente non commerciale utilizzi un immobile con modalità mista, cioè in compresenza delle une e delle altre.

Riporto alcune impressioni a caldo della lettura dell’articolato.

All’articolo 1 sono riferite le definizioni di ente non commerciale, di IMU e delle differenti attività soggette ad esenzione. All’articolo 2 si definisce l’oggetto del decreto, ovvero la distinzione – ai fini dell’esenzione – delle (attività) commerciali da quelle non commerciali.

All’articolo 3 si legge in rubrica: “Requisiti generali per lo svolgimento con modalita’ non commerciali delle attivita’ istituzionali“. Al comma 1: “Le attivita’ istituzionali sono svolte con modalita’ non commerciali quando l’atto costitutivo o lo statuto dell’ente non commerciale prevedono:”

Qui si palesa una ignoranza di fondo  degli estensori. Infatti sono riportate le condizioni di assenza di scopo di lucro (soggettivo) e non di “non commercialità”. Dire che i soci e chiunque altro non devono distribuirsi i fondi, che bisogna redistribuire gli utili per il finanziamento delle attività dell’ente e che in caso di scioglimento i fondi residui devono essere devoluti ad altro ente significa affermare i tre principi cardine dell’assenza di scopo di lucro, che nulla hanno a che fare con i termini fiscali di assenza di commercialità. Che dovessero riportarli è fuori di dubbio, il problema sta nel fatto che i due piani (non commercialità e assenza di scopo di lucro soggettivo) non devono essere confusi.

All’articolo 4 il ministero va ad elencare le ulteriori condizioni di non commercialità. Vediamole per settore.

Attività assistenziali e/o sanitarie.

Se l’ente è accreditato o convenzionato, le attività devono essere gratuite o possono essere richiesti  “eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento per la copertura del servizio universale”.

In questo caso, l’ente locale può quindi consentire all’ente convenzionato di richiedere eventuali somme che coprano i costi (si presume) del servizio universale. Cosa si intende per “servizio universale” non è dato sapere.

Se l’ente non è accreditato nè convenzionato, le attività devono essere gratuite o può essere chiesto “versamento di corrispettivi di importo simbolico e, comunque, non superiore alla meta’ dei corrispettivi medi previsti per analoghe attivita’ svolte con modalita’ concorrenziali nello stesso ambito territoriale, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con il costo effettivo del servizio”.

Qui entra la questione della metà dei corrispettivi previsti (si presume: dal mercato, da chi altrimenti?) per le stesse attività in un ambito territoriale, i cui confini non sono definiti. Questo 50% delle rette praticate in un mercato non definito territorialmente non deve aver relazione con il costo del servizio. Qui salta la logica; mi si chiede di far riferimento ad un prezzo di mercato ma mi si dice di non costruire questo prezziario secondo le logiche del mercato (numero letti, numero giorni assistiti o prestazioni date).

E poi, se vogliamo evitare che un ente non profit entri in concorrenza con le aziende for profit, gli facciamo praticare prezzi che non devono essere tali ma che comunque sono più convenienti (meno della metà) di quelli praticati dal for profit? Idee confuse, direi.

Attività didattiche.

Oltre alla richiesta attività didattica paritaria e non discriminante, si torna o alla gratuità o alla formulazione di “corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso”. Qui sono stati meno precisi. Non il 50% del mercato (che in effetti non esiste) ma una frazione del costo del servizio. Quanto è una frazione? Diciamo che si va – per esempio – da 1/10 a 9/10. Va bene comunque? E come vado a definire la frazione se non deve esserci relazione col costo effettivo del servizio? Avremmo una frazione con numeratore a piacimento e denominatore indefinito. Problema matematico non indifferente.

Attività ricettive.

Far soggiornare chi? All’articolo 1 potrebbero porre fine – in parte – alle questioni legate agli alberghi tenuti dalle suorine. Si parla di “attivita’ che prevedono l’accessibilita’ limitata ai destinatari propri delle attivita’ istituzionali e la discontinuita’ nell’apertura nonche’, relativamente alla ricettivita’ sociale, quelle dirette a garantire l’esigenza di sistemazioni abitative anche temporanee per bisogni speciali, ovvero svolte nei confronti di persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari, escluse in ogni caso le attivita’ svolte in strutture alberghiere e paralberghiere”.

In merito alle condizioni di commercialità / non commercialità qui si ribadisce il concetto di gratuità o la questione del 50%, con i dubbi sopra riportati su come si consideri la concorrenza.

Attività culturali e ricreative.

Di nuovo: gratuità o 50% dei prezzi praticati dal mercato. Qui colpevolmente non si fa riferimento alle condizioni di non commercialità dettate dalla norma per l’associazionismo (art 148, cc 3 e succ, TUIR). Se faccio attività a favore dei miei soci e me le faccio pagare, perché per le imposte dirette non sono commerciali e per l’IMU sono commerciali? Mistero.

Attività sportive

Si torna alla gratuità o al 50% delle condizioni di mercato. Ma di quale mercato stiamo parlando? L’attività sportiva dilettantistica è tutta (o quasi) praticata dalle associazioni sportive dilettantistiche. Il mercato di riferimento è quello delle non profit? Se sì, si assisterebbe ad una situazione paradossale. In un territorio ci sono 5 enti non profit che fanno praticare a 100 euro una certa disciplina sportiva. Si costituiscono altri 5 enti che offrono la stessa pratica sportiva. Cosa devono fare? Il mercato dice 100, il DM dice che possono chiedere fino a 50 €. Ora la media diventa 75 €. L’undicesimo ente deve praticare 37,5 euro e così anche le precedenti 10? Ma facendo così il prezzo di mercato si abbassa a 37,5 e così via!

Per ora mi fermo qui. Di domande senza risposte ce ne sono fin troppe.

Il Decreto segue con l’individuazione del rapporto proporzionale, la dichiarazione, e le disposizioni finali.

Qui trovate il DM

Carlo Mazzini

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