Riforma del non profit: cosa fare perché l’Authority abbia successo

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Ricevo e molto volentieri pubblico alcune considerazioni da tre professionisti che per molti anni hanno lavorato nella “fu” Agenzia per le Onlus (poi del Terzo settore). Attenzione: non nella parte politica dell’Agenzia – ampiamente fallimentare – ma in quella tecnica, impegnata nella redazione di pareri, nell’interlocuzione con i pari grado dei ministeri e delle amministrazioni locali.

Professionisti preparati, ecco.

Se non ce lo dicono loro quali poteri deve avere un’Authority del Terzo Settore, chi ce lo deve dire? Chi ne è stato consigliere o Presidente combinando qualcosa vicino allo zero kelvin?

Carlo Mazzini

Dalle ceneri dell’Agenzia nasce (forse!) l’Autohority del terzo settore

Le Linee Guida del Governo Renzi per una riforma del terzo settore pongono tra le priorità (cfr. punto 4) l’istituzione di una Authority che operi in tale specifico ambito

Chi per anni ha lavorato nell’Agenzia per le Onlus – successivamente rinominata Agenzia per il Terzo Settore e poi soppressa – non può che condividere la scelta, almeno dichiarata, di dare vita ad un soggetto che assuma davvero la veste ed il vero ruolo di una “Authority” nella speranza che si possa (finalmente!) assistere alla creazione di un Organismo che, a differenza della passata esperienza, sia dotato di un’effettiva ed ampia capacità di intervento grazie all’attribuzione di specifici poteri, certamente di raccomandazione, di proposta e di moral suasion ma, soprattutto, di indagine, coercitivi e sanzionatori.

Si tratta di attribuzioni essenziali per esprimere al meglio una funzione di garanzia sia nei confronti della collettività e del c.d. “buon terzo settore”,– per impedire l’utilizzo strumentale della veste non lucrativaa quei soggetti che intendono nel concreto perseguire interessi egoistici, sia nei confronti dell’amministrazione pubblica, che ha interesse al corretto ed efficace utilizzo degli incentivi e delle risorse erogate. Tuttavia, la funzione di garanzia, di neutralità e quindi di imparzialità rispetto agli interessi pubblici e privati che un’Autorità è chiamata a svolgere implica la necessità di prevedere una struttura organizzativa capace di garantirle la più ampia autonomia ed indipendenza possibile. E’ essenziale prevedere che l’Authority sia dotata di un’autonomia in ambito organizzativoe di organico e, dunque, riconoscerle un’autonomia finanziaria, anche attraverso la predisposizione di entrate derivanti da autonomi poteri sanzionatori in specifici ambiti.

Un altro ambito di fondamentale importanza è quelloinerente alle modalità di nomina dei titolari degli organi di vertice dell’Authority e della disciplina che regola l’esercizio del loro mandato. Intal senso, a nostro modo di vedere, la strada corretta da intraprendere sarebbe quella di individuare i componenti di tali organiattraverso la presenza negli stessi di caratteristiche di comprovata competenza, esperienza ed indipendenza nell’ambito del Terzo Settore.

Il modello al quale rifarsi per l’istituzione di un’Authority dovrebbe essere, a nostro avviso, quello della Charity Commission inglese che – nonostante alcune recenti débâcle nel controllo delle charities – si è dimostrataper oltre 25 anni un modello vincente di Authority indipendente e super partes nel verificare la trasparenza, l’efficienza e l’efficaciadegli enti non profit inglesi.

La Charity Commission ha il potere di decidere sul riconoscimento dello status di charity e gestisce il registro delle charities inglesi e gallesi, accessibile a chiunque a differenza dell’italiana anagrafe unica delle onlus che rappresenta, peraltro, solo uno dei numerosi albi, registri ed elenchi degli enti non profit previsti dalla normativa italiana.

Sebbene tale disegno non sia di semplice attuazione si ritiene che l’unica via possibile stia la creazione di un soggetto in grado di raccogliere in sé un ventaglio di poteri normativi –amministrativi, paragiurisdizionali (funzioni conciliative o diaggiudicazione) ed istruttori/ispettivi – ma anche di moral suasion e, comunque, di soft law – , distribuendoli in ragione di specifici ambiti di intervento alla stessa assegnati.

Per entrare più nel concreto e provare ad estendere l’analisi ad aspetti di dettaglio, si auspica che la delega legislativa per la riforma del Terzo settore preveda l’istituzione di un’Authority che:

–     esprima pareri preventivi ed obbligatori alle PP.AA.in merito ad iniziative legislative riguardanti la materia del terzo settore;

–     esprima pareri obbligatori e vincolanti in materia di cancellazione degli enti da specifici Albi o Registri e di devoluzione del loro patrimonio;

–     garantisca l’uniforme applicazione della normativa riducendoi margini di discrezionalità interpretativa dei requisiti oggettivi e soggettivi di identificazione dei differenti soggetti non profit che, ad oggi, risulta invece affidata ad una pluralità di soggetti controllori (ministeri, regioni, provincie, prefetture etc.);

–     abbia potere di adottare direttive e/o circolari rivolte alle PP.AA. finalizzate ad evitare e correggere distorsioni applicative delle norme;

–     possa sollecitare l’intervento del Governo per l’adozione di opportuni provvedimenti legislativi tesi superamento delle incongruenze derivanti dalla sovrapposizione delle numerose normative incidenti sulla materia di terzo settore;

–     detenga, almeno, i registri di carattere nazionale ad oggi affidati a differenti Ministeri;

–     abbia poteri ispettivi e sanzionatori, tra i quali:

* richiedere documenti, informazioni e chiarimenti agli enti di terzo settore;

* ricevere ed esaminare reclami, segnalazioni e disporre ispezioni, anche in collaborazione con altri organi dello Stato;

* trasmettere atti e rilievi agli organi di controllo e giurisdizionali competenti, in caso di irregolarità rilevanti;

* irrogare sanzioni pecuniarie per sanzionare il mancato rispetto di obblighi di collaborazione da parte di soggetti pubblici e privati;

–     raccolga i rendiconti/bilanci di enti iscritti in Albi/Registri che permettano di accedere ad agevolazioni e/o che fruiscano di contributi pubblici o raccolgano fondi dal pubblico superiori a specifiche soglie, al fine di assicurare la trasparenza e l’informazione ai terzi;

–     abbia compiti divigilanza in materia di raccolta difondi e di sollecitazione della fede pubblica, allo scopo di assicurare la tutela daabusi e le pari opportunità di accesso ai mezzi di finanziamento;

–     svolga funzioni conciliative nonché di valorizzazione e promozione del terzo settore.

La riforma della normativa del Terzo Settore non potrà essere davvero efficace se non sarà accompagnata dalla creazione di un valido sistema di promozione, vigilanza e controllo che contribuisca agarantire la collettività circa la meritorietà degli enti che operano in tale ambito e allo stesso tempo sia in grado di tutelare gli enti che lo meritano da eventuali ingiuste ingerenze della amministrazione pubblica.

La vera sfida sarà dunque quella di costituire un organismo imparziale che sia, da una parte capace, di raccogliere le istanze del terzo settore e di tutti coloro che ogni giorno operano con fatica in un settore – riconosciuto come essenziale ma spesso “trascurato” dalle istituzioni – e,dall’altra,divenga il principale interlocutore del Governo e delle Amministrazioni nel perseguimento di un interesse collettivo.

Sarà la volta buona?

Paolo Pesticcio, Francesca Pasi, Giulia Oriani

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