Riforma ONG: ritorna 5 per mille e deducibilità delle donazioni, ma …

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Le Ong riconquistano – a loro insaputa, ci vien da dire – il 5 per mille, le deducibilità fiscali sulle erogazioni e quisquilie del genere.
Come ricorderanno i lettori più affezionati, il Vice Ministro Pistelli (persino scrivendoci direttamente sul sito) ha negato tre volte che vi fosse un problema di decadimento delle ONG dalla qualifica di Onlus (problema sollevato da chi scrive dal febbraio scorso), e dato che non c’era problema … l’hanno corretto di recente cambiando il testo alla Camera.
All’art 32 hanno inserito un comma 7 che dice:
“7. Le organizzazioni non governative riconosciute idonee ai sensi della legge 26 febbraio 1987, n. 49, e considerate organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) ai sensi dell’articolo 10, comma 8, del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, e successive modificazioni, alla data di entrata in vigore della presente legge, sono iscritte nell’Anagrafe unica delle ONLUS.”
Con il “cerotto” inserito dal passaggio alla Camera si pone un rimedio alla situazione ma che, a voler essere pignoli o realisti, non è uguale alla precedente.
In precedenza infatti una Ong, per il fatto di essere stata riconosciuta dal Mae era considerata Onlus di diritto talché non era necessario iscriversi all’Anagrafe delle Onlus e, se per caso, si fosse presentata la richiesta, l’Agenzia delle Entrate avrebbe respinto la domanda dicendo: “non è necessario, siete già Onlus”.
Per essere espulsi dalle Onlus occorreva perdere il riconoscimento MAE di Ong. In altri termini se il Ministero degli affari esteri avesse dichiarato la decadenza o la cancellazione della Ong (e ce ne voleva!), allora sarebbe andato perso anche lo status di Onlus. Per i reclami occorreva “citofonare” ai tribunali amministrativi regionali.
Con il nuovo assetto normativo, le Ong sono Onlus non più di diritto ma perché iscritte – seppur per legge – nell’Anagrafe unica delle Onlus sulla quale però ha competenza l’Agenzia delle Entrate con le sue 19 direzioni regionali più 2 delle province autonome di Trento e Bolzano.
In tutto 21 organismi che, da quando sono sono entrate in vigore le agevolazioni Onlus, spesso hanno avuto comportamenti non del tutto univoci in tema di valutazione degli statuti.
Basterà un nonnulla rilevato dall’Agenzia delle Entrate, come per esempio una banale questione  sulla valutazione del carattere accessorio di talune attività svolte dalle Ong per incappare nel disconoscimento delle agevolazioni Onlus con l’apertura di un contenzioso (qui bisogna “citofonare” alle Commissioni tributarie) dal quantomai dubbio esito.
Come tutti i cerotti si tratta di una soluzione di ripiego che, ancora una volta, non è sovrapponibile, in alcun modo, a quella precedente, che a parer nostro era di gran lunga più tutelante.
Riepilogando: prima la ONG riconosciuta idonea per non essere più Onlus doveva essere fatta fuori dall’elenco del MAE (lunga trafila ecc). Ora basta un provvedimento dell’Agenzia delle Entrate.
Dal testo mancano, inoltre, all’appello le questioni relative a:
·       non applicazione dell’IVA sugli acquisti di beni destinati ad essere esportati verso i paesi dove la Ong opera; questo comporterà un aggravio non indifferente di costi per gli operatori del settore: i beni acquistati sul mercato domestico, intracomunitario o importati in Italia e successivamente esportati nei paesi in via di sviluppo non godranno più della non applicazione dell’IVA. Salvo che, al momento dell’acquisto, non si decida di far esportare direttamente dal fornitore i beni in questione oppure si pongano in essere alcune manovre in odore di elusione. Si tenga conto che non sempre i beni in questione possono essere acquistati nei paesi ospiti e non sempre è possibile far esportare i beni direttamente dai fornitori domestici senza, appunto, un aggravio considerevole di costi, altrimenti mitigati, per esempio, da operazioni di groupage.
·       tassazione agevolata dei compensi ai cooperanti ex art. 54, comma 8-bis, TUIR
mentre viene rafforzato il concetto di non commercialità delle attività di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario svolte dai “soggetti della cooperazione allo sviluppo”, vale a dire le organizzazioni della società civile e gli altri soggetti senza finalità di lucro elencati nell’art. 26, comma 2.
Ragioniamo: tra i soggetti della cooperazione allo sviluppo (che secondo il comma 2 sono senza scopo di lucro) saranno compresi anche:
·       le organizzazioni di commercio equo e solidale, della finanza etica e del microcredito che nel proprio statuto prevedano come finalità prioritaria la cooperazione internazionale allo sviluppo (comma 2, lettera c)
·       le imprese cooperative e sociali (…) (comma 2, lettera e).
Come queste due tipologie possano essere enti senza scopo di lucro è un mistero davvero poco gaudioso.
Ma non solo.
In precedenza gli unici soggetti della cooperazione internazionale, secondo la legislazione italiana, erano le Ong, enti senza finalità di lucro che, ai fini fiscali, erano considerati enti non commerciali con il che era quasi pleonastico affermare che le attività da loro svolte erano non commerciali.
La nuova formulazione normativa rimescola le carte in gioco, poiché anche soggetti che normalmente pongono in essere operazioni commerciali (cioè operazioni a prestazioni corrispettive – beni vs denaro) e anche (per loro natura) soggetti for profit (anche se a mutualità prevalente) vengono posti in un’area di non commercialità.
Pensiamo ora ad una cooperativa che sarà riconosciuta “soggetto della cooperazione” e che, come logica conseguenza della sua attività di produzione di beni in un paese in via di sviluppo, destinati al circuito del commercio equo e solidale, importi in Italia tali beni per la successiva commercializzazione nell’ambito del mercato domestico.
Dal momento che l’attività si considera “non commerciale” è legittimo chiedersi se potrà detrarre l’IVA pagata in dogana? Probabilmente sì perché le successive vendite saranno soggette ad IVA.
A parere di chi scrive non potrebbe essere diversamente poiché l’IVA è un’imposta europea il cui ambito di applicazione non permette molti margini di manovra.
E’ più corretto pensare che i corrispettivi non saranno soggetti ad imposte sui redditi e allora siamo proprio sicuri che la cosa non comporti alcun onere per il bilancio dello Stato come ha affermato – probabilmente senza ragionarci più di tanto – la V Commissione permanente, bilancio, tesoro e programmazione?
Riteniamo che l’asserita “non commercialità” sarà oggetto di non pochi mal di testa.
Dal canto nostro, rimaniamo del parere che non è perché una riforma viene varata a 27 anni dalla legge precedente, allora sarà per forza buona. Una legge è buona se il legislatore ha preso in considerazione i vari scenari che si aprono con il nuovo assetto normativo e se ha considerato adeguatamente costi e benefici.
A nostro avviso, di simulazioni non ne sono state effettuate a sufficienza o i risultati sono stati considerati con troppa sufficienza.
Gianpaolo Concari e Carlo Mazzini
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