Voluntary disclosure ed enti non profit: una prima analisi

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Pubblichiamo un’interessante analisi del dott. Massimo Piscietta di progettononprofit.it , relativo a quelle casistiche di patrimoni che devono tornare dall’estero in Italia. Nel caso fossero di enti non commerciali, come si fa?

In queste settimane, nel mondo professionale, si parla molto della c.d. “Voluntary Disclosure”, cioè, tentando una libera traduzione italiana del termine, del “disvelamento volontario” delle attività patrimoniali detenute all’estero in mancanza del corretto adempimento conseguente agli obblighi di:

monitoraggio fiscale (imposto dall’art. 4 del D.L. 28 giugno 1990, n. 167),
dichiarazione, liquidazione e versamento delle imposte inerenti i frutti delle attività stesse (secondo le regole previste dal TUIR e dalle altre norme in materia).
Il tema, risultato di un lungo e travagliato percorso politico legislativo, trova fondamento normativo nella Legge 15 dicembre 2014, n. 186 con la quale sono stati fissati: lo scenario di riferimento nonché le modalità e i termini entro i quali è possibile procedere con la regolarizzazione delle posizioni. Da più parti è sottolineata la circostanza per cui non si tratta di un “condono” (almeno nel senso comunemente inteso del termine) essendo comunque dovute integralmente le imposte inerenti le posizioni interessate, con beneficio, tuttavia, di sostanziali mitigazioni delle sanzioni ordinariamente previste.

Le motivazioni del provvedimento scaturiscono sicuramente da esigenze di cassa, ma sono indotte, e al contempo condizionate, dal mutato scenario finanziario internazionale degli ultimi anni, la cui dinamica è in corso, che ha scardinato certezze apparentemente granitiche in merito alla impenetrabilità del segreto bancario di numerosi stati vicini e lontani dall’Italia.

Benché l’interesse per la Voluntary Discolure emerga prevalentemente da parte delle persone fisiche, astrattamente la norma si applica anche agli enti non commerciali. L’art. 4 comma 1 del D.L. n. 167/90, sottopone, infatti, agli obblighi dichiarativi di monitoraggio, che si concretizzano nel famigerato quadro RW del modello Unico, oltre alle persone fisiche e alle società semplici ed equiparate, gli enti non commerciali. E’ noto, inoltre, che anche gli enti non commerciali quantificano il reddito imponibile sulla base del principio di “tassazione mondiale” quale sommatoria dei redditi: fondiari, di capitale, di impresa e diversi.

Prescindendo da patologie tributarie (definizione da leggersi, ad esempio, come: “evasioni di imposta ed occultamento di capitali all’estero”), casistiche che si possono presumere marginali nel mondo variegato ed eterogeneo del “non profit”, possono tuttavia ipotizzarsi almeno due macro ambiti nei quali enti non commerciali, pur in buona fede, possono avere interesse all’accesso alla procedura.

Il primo è quello dell’ente “erede” testamentario di un patrimonio estero (considerando tale, secondo le previsioni normative, le attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia). In questo caso, si deve (o si sarebbero dovute) indicare le consistenze, nel quadro RW della dichiarazione fiscale, nonché dichiarare i redditi prodotti dal patrimonio stesso, liquidando e versando, successivamente, le relative imposte. Ipotizzando un atteggiamento corretto e zelante dell’ente, rimane aperta la questione inerente le eventuali omissioni del defunto del cui patrimonio, o parte dello stesso, l’ente beneficia quale erede. La considerazione che l’erede è responsabile per i debiti ereditari e che fra gli stessi sono compresi anche i “debiti d’imposta” (principio la cui declinazione fiscale è contenuta nel’art. 65 del Dpr 29 settembre 1973, n. 600, pur non essendo, invece, l’erede responsabile per le sanzioni conseguenti agli inadempimenti fiscali del de-cuius, ai sensi dell’art. 8 del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472), induce direttamente alla possibilità di aderire alla procedura collaborativa, per sanare le omissioni e ciò tanto più nei casi in cui sia l’ente stesso ad aver omesso, già in qualità di proprietario del patrimonio, gli obblighi a proprio carico.

Il secondo scenario tipico è quello dell’ente beneficiario di “erogazioni liberali” all’estero ivi mantenute e suscettibili di produrre redditi imponibili, che non abbia provveduto a dichiarare, secondo le regole previste, nel modello RW, liquidando e versando, successivamente, anche le relative imposte dovute.

La circolare in materia, di prossima emanazione e attesa in dimensioni ciclopiche, non mancherà di illustrare nel dettaglio anche gli adempimenti da svolgere da parte degli eventuali enti non commerciali interessati. Pur nella consapevolezza dell’obiettiva infrequenza generalizzata di casistiche connesse alle previsioni della Legge n. 186/14, vale la pena considerare attentamente le possibilità offerte dalla stessa, valutando che l’occasione normativa permette una regolarizzazione ampia delle eventuali posizioni estere non correttamente gestite, che difficilmente potranno continuare a rimanere tali in futuro se non a pena di rischi rilevanti per gli enti e i loro amministratori.

Massimo Piscietta

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