A che punto è la Riforma del III Settore?

0

Alcuni giorni fa, Stefano Arduini ha scritto un bel post sul sito di Vita dal titolo ben chiaro “Riforma Terzo Settore, 21 atti per finire in un vicolo cieco?”, dove spiega che dopo un anno esatto dall’approvazione del testo in Consiglio dei Ministri il premier “si trova con in mano un pugno di mosche”, dato che devono ancora essere presentati alla Commissione referente del Senato gli emendamenti (e poi si passa all’assemblea, e se cambia una virgola dal testo licenziato dalla Camera si torna nuovamente a Montecitorio).

Quello che mi stupisce è lo stupore dell’estensore del post.

Davvero credevamo che questa riforma avrebbe avuto vita facile nelle Commissioni e nelle Aule dei due rami del Parlamento?

E’ ben vero che è difficile – diciamo impossibile – azzeccare una previsione sui tempi a medio termine della promulgazione delle leggi: un anno fa tutti pensavamo che a quest’ora saremmo stati piegati a leggere le prime bozze di decreti legislativi. Ma gli indizi del pasticcio istituzional-legislativo che stava prendendo forma nel meno afoso luglio di un anno fa erano palesi e ci parlavano forte e chiaro.

Com’era partito il caravan serraglio della Riforma? Dopo l’annuncio di Renzi e le consultazioni online del non profit sulla base di un caotico canovaccio chiamato ironicamente “linee guida”, il ddl delega viene approvato in Consiglio dei Ministri, ma non viene ancora presentato alle Camere. Solo dopo un mese – ad Agosto – in una conferenza stampa, viene presentato un testo che non era quello votato a Palazzo Chigi il mese prima. Singolare, no? A fine Agosto il testo approda alla Camera e la prima volta che la Camera (XII Commissione) inizia a discuterne è il primo di ottobre. Ci siamo giocati un mese perché il “Terzo Settore è il Primo”, come ripeteva il Premier, che avrebbe potuto aggiungere che “la gatta frettolosa fa i gattini ciechi”. Il testo all’esame è chiaramente un puzzle con le tessere che tra loro non combaciano e la relatrice Lenzi fa un buon lavoro di taglia incolla per rimettere le tessere a posto. Seguono audizioni soporifere di enti non profit che tra gli sbadigli dei deputati fanno a gara per ripetere le più retrive banalità sull’importanza del non profit; poi una discussione lunga tra i deputati che, spesso e volentieri, inanellano una serie di banalità e di errori di interpretazione su cosa sia il non profit, e infine si va agli emendamenti. Ne vengono presentati ben 667. Per una legge di soli 11 articoli, non è male! Ammettiamo pure che fossero tutti degnissimi; ma un numero così alto di emendamentisu un testo così breve voleva forse dire che il Parlamentino della Commissione non aveva trovato la quadra durante la discussione su nessun argomento. La maggioranza fa passare quasi unicamente i suoi emendamenti, non cercando quasi mai una sintesi o una convergenza con le minoranze. Si passa all’assemblea dove si discute – ognuno ben saldo non solo alla poltrona ma anche alle sue convinzioni su cosa sia il non profit – e si presentano 376 emendamenti, dei quali 24 approvati.

I numeri finali sulle votazioni sono sconfortanti:

Presenti  468 (su 630 deputati)
Votanti  418
Astenuti   50
Maggioranza  210
Hanno votato sì  297
Hanno votato no  121

Quindi la legge delega che è uno strumento comunque straordinario, in quanto il parlamento si spoglia del potere / dovere di fare le leggi e lo consegna all’Esecutivo, cioè la legge che dà la delega al Governo di riformare il non profit, è approvata (alla Camera) da meno della metà dei deputati (297 su 630). La prossima volta che sentite qualcuno della maggioranza o del Governo che “c’è stata grande convergenza alla Camera sul testo della riforma”, rispondetegli “sì, nella tua parrocchia”.

A parte i turiferari del Governo (pseudo-rappresentanze del non profit incluse), non vi è chi non abbia visto un segnale preoccupante in questi numeri e nella lettura che i vari partiti fanno del fenomeno non profit (di quello attuale e di quello che sarà post-riforma). Stiamo parlando di una Riforma che nelle intenzioni rivolterà il non profit come un calzino ma le persone che hanno stabilito le regole e i principi non distinguono un’autoreggente da un gambaletto.

Si arriva così al Senato con un testo lacunoso (non si parla di fondazioni bancarie, sportive dilettantistiche, enti ecclesiastici), che in più parti non definisce di cosa parla (cosa è il Terzo Settore? cosa vuol dire senza scopo di lucro), che cita pochissime leggi da modificare (quando sarebbero almeno un’ottantina!).

E qui si ricomincia con parole al vento, con prese di posizione del relatore Lepri che manda a dire al Governo che non si pensi che il testo va bene così (giusto!), con alcune audizioni, incluse quelle dei tre sindacati che sono sì associazioni ma che il ddl esclude (perché?) dal Terzo Settore: e allora che ci stanno a fare lì a parlare di una riforma che non li tocca?

E siamo al 21 luglio prossimo venturo, termine ultimo di presentazione degli emendamenti.

Nel frattempo, la discussione mediatica si è concentrata soltanto sulla divisione sì o divisione no degli utili (con “cap”) delle imprese sociali; è chiaro che le cooperative sociali vedono le imprese sociali come il fumo negli occhi, il tema è interessante ma appena si parla di divisione degli utili c’è chi salta fuori e dice “ma allora non è non profit”. E ha tragicamente ragione. Perché la questione è semantica: le imprese sociali – e in parte anche le cooperative sociali – non sono soggetti non profit, ma del Terzo Settore. Ecco: una spiegazione semplice semplice sulla distinzione tra Terzo Settore e Non Profit, nessuno l’ha mai fatta ai nostri legislatori. E così si confondono, loro, i giornalisti, chi scrive nei forum online.

E ci sorprendiamo che le cose vadano a rilento?

Forse, date le premesse, dovremmo rallegrarcene!

Carlo Mazzini

PS: dimenticavo. Nel suo articolo, Arduini cita un tweet di Federsolidarietà – Confcooperative che riporto qui di seguito

fdrsss

Notate una certa somiglianza tra la parte evidenziata nel rettangolo rosso e il mio count-up che riporto da un anno nella colonna qui a destra? Sì? Avete ragione, è lo stesso.

E Federsolidarietà – Confcooperative non si è neppure presa la briga di citare la fonte!

Ingrati! 😀

Related Posts with Thumbnails
Share.

About Author

Leave A Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Questo sito utilizza cookie per funzioni proprie. Se continui nella navigazione o clicchi su un elemento della pagina accetti il loro utilizzo Per maggiori informazioni vai in fondo alla pagina e clicca su "Privacy Policy"

Vai in fondo alla pagina e clicca su "Privacy Policy" - Per contattarci su questioni "Privacy" scrivi a "studiouno (chiocciola) quinonprofit.it"

Chiudi