Contro lo spreco alimentare (e non solo)

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Molte delle misure fiscali contenute nella legge erano già comprese in precedenti norme che vale comunque riprendere per capire la differenza tra la generalità delle cessioni gratuite di beni e quelle destinate a combattere gli sprechi.

L’approvazione della legge contro gli sprechi alimentari ha occupato per alcuni (pochi) giorni i notiziari nazionali portando alla ribalta il problema dello smaltimento dei prodotti alimentari, farmaci e altri prodotti, soprattutto nella grande distribuzione organizzata (GDO), che, ormai prossimi alla scadenza, devono essere ritirati dal circuito commerciale.
Il terreno su cui ci si muove può apparire semplice ai profani (“cosa ci vuole a donare lo yogurt che scade dopodomani? nulla!”) mentre è alquanto complesso perché non si tratta semplicemente di facilitare le operazioni di cessione gratuita di beni ma di garantire comunque che tali beni siano ancora consumabili, senza pericolo per gli utilizzatori e il tutto non si riduca a mere operazioni di smaltimento alternative ai conferimenti in discarica.

Oltre alle cautele per la sicurezza dell’utilizzo, ve ne sono altre, di natura fiscale, che devono evitare che ciò che esce dalla porta, non rientri dalla finestra in modo defiscalizzato e sia reimmesso nel circuito commerciale andando a creare sacche di evasione in grado di nuocere anche alla libera concorrenza.

La novità vera della legge sta proprio nelle norme poste a tutela della sicurezza mentre, per quanto riguarda le questioni fiscali, sostanzialmente, le norme sono già codificate. E’ solo un po’ complicato trovarle perché sono sparse qua e là, ma c’era già quasi tutto il necessario.

Prima di addentrarsi nell’esame delle norme fiscali vale la pena andare a leggere l’art. 2  dove si forniscono le “definizioni” dei termini indicati nella legge.

Gli attori di queste operazioni sono:

  • gli “operatori del settore alimentare” e cioè i soggetti pubblici o privati, operanti con o senza fini di lucro, che svolgono attività connesse ad una delle fasi di produzione, confezionamento, trasformazione, distribuzione e somministrazione degli alimenti; in altri termini “tutti coloro che operano nel settore alimentare”
  • i “soggetti donatari” e cioè gli enti pubblici nonché gli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche e solidaristiche e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività d’interesse generale anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale nonché attraverso forme di mutualità, compresi i soggetti di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460.

Escludendo gli enti pubblici, la definizione di soggetto donatario è quella del “Terzo settore” contenuta nella legge delega di riforma del terzo settore (legge n. 106/2016), il che significa che sono legittimati a ricevere le donazioni tutti i soggetti del Terzo settore e non solo le Onlus.

Altra definizione interessante è quella data alle “eccedenze alimentari”, vale a dire:

  • i prodotti alimentari, agricoli e agro-alimentari che, fermo restando il mantenimento dei requisiti di igiene e sicurezza del prodotto, sono, a titolo esemplificativo e non esaustivo:
    • invenduti o non somministrati per carenza di domanda;
    • ritirati dalla vendita in quanto non conformi ai requisiti aziendali di vendita;
    • rimanenze di attività promozionali;
    • prossimi al raggiungimento della data di scadenza;
    • rimanenze di prove di immissione in commercio di nuovi prodotti;
    • invenduti a causa di danni provocati da eventi meteorologici;
    • invenduti a causa di errori nella programmazione della produzione;
    • non idonei alla commercializzazione per alterazioni dell’imballaggio secondario che non inficiano le idonee condizioni di conservazione

Per “spreco alimentare” si intende l’insieme dei prodotti alimentari scartati dalla catena agroalimentare per ragioni commerciali o estetiche ovvero per prossimità della data di scadenza, ancora commestibili e potenzialmente destinabili al consumo umano o animale e che, in assenza di un possibile uso alternativo, sono destinati a essere smaltiti

Nell’art. 3, molto importante, si dice come debbano essere effettuati i ritiri presso gli operatori del settore: deve essere il soggetto donatario ad effettuare direttamente il ritiro oppure può incaricare un altro soggetto donatario. Perciò se A è un soggetto donatario ma non può effettuare il ritiro direttamente, A può incaricare B ad effettuarlo, purché B sia comunque un soggetto considerato donatario. Il passaggio in concreto è poco chiaro: se è B ad essere il donatario, perché dovrebbe intervenire il soggetto A? Nel contesto A perde la sua soggettività di donatario poiché non è lui il destinatario dei beni.

Si spera che in un qualche documento interpretativo, il ministeriale di turno non abbia l’alzata di ingegno di precludere le operazioni di ritiro ai vettori, cioè ad imprese di trasporto terze che, nell’ambito delle operazioni di questo tipo, hanno solo l’interesse ad effettuare il trasporto e a riscuotere il prezzo del servizio reso, visto che, nel comma 1 dell’articolo 3, si usa l’avverbio “direttamente” a proposito di ritiro.

Sempre nell’art. 3, si dice che i soggetti donatari devono dare priorità di destinazione dei beni ricevuti, purché idonei al consumo umano, alle persone indigenti.
Ciò che non può essere destinato al consumo umano può essere ceduto per la successiva alimentazione animale e per la produzione di fertilizzante.
E’ altresì consentita la cessione gratuita (ai soggetti donatari) di eccedenze di prodotti agricoli in campo e di prodotti di allevamento idonei al consumo umano e animale.
Le operazioni di raccolta o di ritiro dei prodotti agricoli sono svolte direttamente dai soggetti donatari o da loro incaricati, sotto la responsabilità di chi procede al raccolto e nel rispetto delle norme in materia di igiene e di sicurezza alimentare.
Ciò significa che è il soggetto donatario che, nelle operazioni di raccolta nel campo, deve provvedere ad assicurare le persone che operano nelle fasi di raccolta.

E’ interessante quanto disposto con l’art. 6: la confisca di prodotti alimentari idonei al consumo umano o animale può avere come destinatari enti pubblici e gli enti del Terzo settore.
Tuttavia la norma rischia di avere un basso effetto pratico, posto che le procedure per la confisca sono normalmente lunghe (le confische arrivano dopo il sequestro) e spesso riguardano prodotti che sono stati ritenuti pericolosi per il consumo umano e animale. In ogni caso, è un’opportunità in più.
Se per esempio l’Agenzia delle Dogane confiscasse al momento dell’importazione merci per motivi di pericolosità, non è che per il fatto che siano donate a soggetti del Terzo settore, le merci diminuiscano, per semplice imposizione delle mani, la loro pericolosità, magari perché vengono dirottate all’estero.
Al massimo si sposta geograficamente la loro pericolosità ma sono e restano pericolosi per l’uso che altri ne dovranno fare.

Per quanto concerne i medicinali (art.15) si provvederà, con decreto del Ministro della salute (da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge), ad individuare concretamente le modalità delle donazione alle Onlus e solo a questa categoria di enti, escludendo la generalità degli enti del Terzo settore. Sono esclusi i medicinali

  • che devono essere conservati a temperature controllate o in frigorifero
  • che contengono sostanze stupefacenti o psicotrope
  • o la cui distribuzione avviene solo in strutture ospedaliere

Le Onlus possono procedere alla distribuzione successiva dei farmaci ai soggetti indigenti o bisognosi dietro presentazione di prescrizione medica, se necessaria, a condizione che dispongano di personale sanitario che sovrintenda le operazioni di distribuzione. Ovviamente le operazioni di successiva distribuzione ai consumatori finali devono essere totalmente gratuite.

Prima di passare alle questioni prettamente fiscali (artt. 16 e 17) è molto interessante il contenuto dell’art. 18 rubricato come “disposizioni finali” che dispone invece importanti deroghe per ciò che concerne tutte le cessioni gratuite di beni effettuate nell’ambito della legge in esame.
Ebbene tutte le cessioni gratuite non devono sottostare alla forma scritta che per la generalità delle donazioni è invece disposta ad substantiam così come non si applicano in generale le norme del titolo V del libro secondo del codice civile dove agli artt. da 769 a 809 si dispone, tra l’altro, un rigido protocollo circa la forma della donazione.
Giova infatti ricordare che, salvo che per le donazioni di modico valore (denominate erogazioni liberali), la forma scritta del contratto (atto pubblico, persino!) è un elemento essenziale del contratto stesso, la cui mancanza comporta la nullità del contratto.
Per effetto della pluralità degli atti donativi posti in essere in un determinato arco temporale, si potrebbero raggiungere importi considerevoli con l’effetto ultimo di avere posto in essere una donazione priva dei requisiti richiesti dal codice civile e quindi con effetti giuridici nulli.

Per quanto riguarda le norme di natura fiscale occorre ricordare che vi sono essenzialmente due tipologie di cessioni gratuite di beni:

  1. le cessioni gratuite di beni, di costo superiore ai 50 euro, la cui produzione o commercio rientra nell’attività propria dell’impresa, fatte ad enti pubblici, associazioni riconosciute o fondazioni aventi esclusivamente finalità di assistenza, beneficenza, educazione, istruzione, studio o ricerca scientifica e alle Onlus e
  2. le derrate alimentari, i prodotti farmaceutici e i beni non di lusso che vengono ritirati dal circuito commerciale perché, sebbene idonei all’utilizzo o al consumo, per effetto di imperfezioni, alterazioni, danni o vizi non possono essere commercializzati.

La generalità delle cessioni gratuite di beni (punto 1) è considerata, ai fini IVA, operazione esente ex art. 10, comma 1, n. 12, d.P.R. 633/72 e quindi comporta la rettifica della detrazione dell’imposta per effetto dell’art. 19-bis 2, d.P.R. 633/72.

Le cessioni gratuite indicate al punto 2) sono invece assimilate alla distruzione dei beni con il che le operazioni sono fuori dal campo di applicazione dell’IVA e non opera la rettifica della detrazione dell’imposta, questo perché la distruzione dei beni non comporta distrazione degli stessi rispetto all’attività svolta ma è un evento che può accadere nell’ambito dell’attività stessa.

In ogni caso, entrambe le tipologie di operazioni sottostanno alle norme di cui all’art. 2, d.P.R. 441/97 riguardanti le presunzioni di acquisto e di cessione di beni.
Tale regolamento impone particolari procedure relativamente alla comunicazione preventiva all’Agenzia delle Entrate e alla Guardia di Finanza, comunicazione che può essere omessa se l’importo delle cessioni non eccede i 15.000 euro o se riguarda derrate alimentari facilmente deperibili.
Cosa cambia rispetto alle norme già in essere? Nulla, salvo il fatto che la comunicazione prevista dal d.P.R. 441/97 si potrà effettuare attraverso i canali telematici e che si potrà inviare all’Agenzia delle Entrate o alla Guardia di Finanza.

Avete letto bene: nel d.P.R. 441/97 si dice “all’Agenzia delle Entrate E alla Guardia di Finanza”.
La legge che stiamo esaminando invece dice (art. 16, comma 1) “all’Agenzia delle Entrate O alla Guardia di Finanza”.
Il problema è che la modifica non incide espressamente sul d.P.R. 441/97 modificandone la congiunzione “e” in “o”. La modifica rimane confinata nella legge in esame e appare più come un lapsus calami del legislatore distratto.
Al Governo viene conferita comunque delega, da esercitare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, per apportare le necessarie modifiche al d.P.R. 441/97 ed è auspicabile che, oltre a questo punto, si ponga rimedio anche ai differenti criteri di valutazione dei beni ceduti.
Secondo il d.P.R. 441/97, deve il criterio di valutazione deve essere quello del costo specifico sostenuto per la produzione o l’acquisto, mentre la legge in esame prevede una valutazione al prezzo di vendita.
Ma quale? quello comprensivo dell’IVA? o senza applicazione dell’imposta? A parere di chi scrive, dovrebbe trattarsi del prezzo senza applicazione dell’imposta e quindi al netto dell’IVA, proprio perché si tratta di operazioni estranee al campo di applicazione dell’imposta.

Quanto poi all’assimilazione delle cessioni gratuite del precedete punto 2 alla distruzione dei beni, questo viene ribadito nell’art. 16, comma 4 della legge in esame. Ma ciò era ed è già scritto nell’art. 13, comma 3, ultimo periodo, d.lgs. 460/97 oltre che nell’art. 6, legge 133/1999.
L’aspetto innovativo lo troviamo invece nel novellato art. 13, comma 2, d.lgs. 460/97 nel quale si comprendono, oltre alle derrate alimentari e ai farmaci, anche una serie di prodotti che saranno individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da emanarsi entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
Altro provvedimento, previsto entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, è quello del direttore dell’Agenzia delle Entrate per definire le modalità telematiche per l’invio della comunicazione di avvio delle operazioni di cessione gratuita dei beni (entrambe le tipologie).

Ulteriore elemento di novità è la riscrittura dell’art. 13, comma 4, d.lgs. 460/97: i soggetti donatari in precedenza rilasciavano all’impresa cedente una dichiarazione per ogni operazione effettuata nella quale attestavano il proprio impegno ad utilizzare direttamente i beni in conformità alle finalità istituzionali e, a pena di decadenza dai benefici fiscali, di realizzare l’effettivo utilizzo diretto.
La dichiarazione, da conservare agli atti dell’operatore del settore ora diventa trimestrale e quindi potrà raggruppare più operazioni donative.
Quello dell’impegno ad utilizzare direttamente i beni donati era un punto probabilmente non ben soppesato dagli operatori, poiché non permetteva o comunque rendeva problematica la realizzazione della distribuzione mediante terze parti.
L’esempio classico è quello di una Onlus beneficiaria delle donazioni di beni ma che, per la successiva distribuzione alle persone svantaggiate, si appoggia ad una parrocchia, ente religioso non qualificato come Onlus (nemmeno parzialmente): è chiaro che manca il requisito della distribuzione diretta.
Ebbene l’impostazione della legge in esame rimane identica sicché l’utilizzo deve rimanere diretto e quindi il rapporto deve essere operatori del settore → soggetto donatario → utente finale.
No intermediari.
A parere di chi scrive l’unico modo sensato di inserire un intermediario (ma lo si deve conoscere bene, affinché si possa stare tranquilli sul suo operato) è quello di conferirgli una procura speciale per la distribuzione agli utenti finali: sia chiaro però che un conto è una semplice delega, un conto è una procura speciale dove il procuratore si comporta come se ad agire fosse colui che ha conferito procura.

Last but not the least è la possibilità concessa ai comuni di stabilire riduzioni tariffarie proporzionali alla quantità, debitamente certificata, dei beni e dei prodotti ritirati dalla vendita e oggetto di donazione. Apparentemente la norma sembra premiare chi produce beni invendibili.
In realtà è da considerare che un negozio di vicinato è molto più attento a non produrre beni da ritirare dal circuito commerciale di un punto vendita della GDO che, per sua organizzazione, ne produce di più (è il motivo per cui questa legge è stata voluta) e ha un’estesa superficie di vendita (e quindi tassabile) e quindi premia (con riduzioni tariffarie, si badi bene) quegli esercizi che pongono in essere comportamenti virtuosi per limitare al minimo l’utilizzo degli impianti di smaltimento dei rifiuti e quindi l’impatto ambientale.

Giampaolo Concari

Aggiornamento: la legge è L 166/16

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