Riforma Terzo Settore: fuori i nomi di chi scrive i decreti

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La situazione dei decreti legislativi sulla riforma del Terzo Settore sarebbe la seguente.
Sarebbero pronti i testi sul servizio civile universale e quello sull’impresa sociale.
Ancora in alto mare sarebbe invece la situazione relativa alla legislazione complessiva delle altre non profit (organizzazioni di volontariato, Onlus, associazioni di promozione sociale ed altro) e il decreto concernente la riforma del codice civile, in materia di acquisizione della personalità giuridica.

Ovviamente queste sono voci, più o meno autorevoli, che si rincorrono tra esperti ed operatori.

Esperti; si fà presto a dire esperti.
La domanda fondamentale che ci facciamo tutti – esclusi coloro che sono coinvolti – è chi siano gli esperti che stanno contribuendo a scrivere i testi.
Anche qui, si rincorrono voci, non so quanto fondate, e allora vi chiedo di seguirmi su due aspetti a mio avviso importanti.

Il primo aspetto è quello relativo ai nomi. Mi chiedo: è giusto che l’opinione pubblica sappia chi contribuisce con scienza, coscienza e esperienza alla stesura dei testi? A mio avviso sì, e dovrebbe essere il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali a rendere pubblica la composizione delle commissioni incaricate di elaborare i testi.
Credo che sarebbe giusto perché non si tratta di piccoli suggerimenti en passant su singole questioni come spesso succede ad esempio in occasione delle leggi di stabilità.
Qui si sta parlando di riformare tutto l’assetto del non profit, la geografia legislativa complessiva, dalla governance alla fiscalità. Chi viene chiamato a contribuire ha una responsabilità elevata ed è giusto che “risponda” in merito alla riuscita della norma. Non solo. Chi chiama gli esperti deve rispondere egli stesso della scelta che fa, per consentire al cittadino / elettore di comprendere a posteriori se le scelte sono state dettate da amicizie, vicinanze o convenienze politiche oppure da considerazioni di natura tecnica (l’esperto è … esperto).
In questi anni, in merito alla formanda riforma si sono registrate – come è giusto che sia – posizione diverse anche tra gli esperti. Chi voleva esaltare l’impresa sociale, chi voleva affossarla. Chi voleva darle la possibilità di dividere gli utili, chi voleva lasciarla senza divisione di utili (effetto zombie: 10 anni di legge hanno dimostrato che è stupido non dare una remunerazione a chi investe in soggetti economici).
Ma ancora. Chi vuole rendere omogenei i regimi fiscali di favore per tutti i soggetti del Terzo Settore e chi invece ritiene che tra un circolo scacchistico e un’associazione che aiuta le persone senza dimora ci sia una bella differenza. E così via.
Capite bene che a seconda dell’esperto dal quale mi faccio aiutare, su molte scelte politiche si può passare da un estremo all’altro.
Certo sarebbe bello che queste scelte fossero già state formulate nella legge di riforma, ma ciò è successo soltanto per le imprese sociali, per le quali è stata trovata una via di mezzo che scontenta tutti.
Così succede che ci siano esperti indicati da grosse organizzazioni o gruppi di enti molto “tipizzati” dal punto di vista politico, religioso, ideologico (le ideologie sopravvivono, altroché). Sapere se questi esperti sono stati chiamati, se sono gli unici ad essere stati chiamati, se è stata formata una commissione “mista”. Sarebbero tutte informazioni utili per giudicare non le idee degli esperti (ognuno ha quelle che si merita) ma quelle del governo che si è preso la responsabilità politica di riformare il Terzo Settore.
Quello che possiamo sapere – ma solo dopo accurata ricerca – è che almeno due dei consulenti del ministero sono dedicati al Terzo Settore (e credo alla riforma). Uno appare più titolato dell’altro, ma evidentemente i ruoli sono diversi. Per sapere chi sono, andate a vedere il sito del Ministero nella pagina “Amministrazione trasparente”.

E qui torniamo alla questione della trasparenza.
Una legge impone la trasparenza, cioè l’obbligo da parte di qualsiasi pubblica amministrazione di riportare qualsiasi consulenza richieda a soggetti esterni alla PA (cfr. art. 15, c. 1 e 2 del d. lgs. 33/2013), non rilevando il fatto che questa sia a pagamento o gratuita.
Quindi, sia dal punto di vista dell’opportunità che dell’obbligo di legge, nello specifico il Ministero deve dire chi – oltre al proprio personale interno – sta collaborando a scrivere i decreti.

Passiamo alla questione soldi.
Premetto. “Houston abbiamo un problema sui soldi”. Nel senso che per ragioni diverse siamo portati a ritenere che i soldi spesi nella pubblica amministrazione e/o quelli dati a dipendenti, collaboratori o professionisti siano “sprecati”. Un pò come la questione delle consulenze al non profit, no?
Non apro la questione perché sarebbe un insulto alla vostra intelligenza. Ma, en passant, possiamo dire senza tema di smentita che se un’azienda, pubblica amministrazione o ente non profit vuole aumentare le competenze interne, far bene un lavoro ecc investe su chi le cose le sa. Investire vuol dire metterci dei soldi. Altra questione è se i soldi per l’investimento io ce li ho oppure no.
Ma non c’è motivo di scandalo se si paga qualcuno (interno o esterno) per far bene un lavoro.
Partendo da queste banalità – per le quali mi profondo in scuse – è chiaro che nessun datore di lavoro (ministro, CEO, direttore) può chiedermi di lavorare gratis. Nessuno, con nessuna scusa. OK, lo ha appena fatto il ministro della salute, ma non ha fatto la migliore delle figure possibili neppure per la specifica richiesta!
Ritorniamo alla questione alla Riforma. Quanto paghereste ad esempio per la riforma del riconoscimento giuridico?
Ah, se trovassi una commissione di esperti pronti a redigere un testo che riduce contenziosi, allenta i freni burocratici, abroga la tenuta di registri ancora cartacei (e solo cartacei!!!), annulla le richieste folli di limiti di fondo patrimoniale che ballano tra regione e regione, a seconda di come si è svegliato il funzionario! Quanto varrebbe un testo scritto bene, un lavoro fatto bene, una relazione accompagnatoria che “prevede” gli effetti di applicazione della legge?
Varrebbe tantissimo. Io la pagherei a fee orarie o a blocco, sapendo che il ritorno – in termini economici di risparmio – sarebbe altissimo.
Se poi qualcuno, perché ricco di famiglia, vuole offrire i propri servigi pro bono, benissimo. E’ una scelta ma che deve essere dell’esperto, non può essere “indotta” da una moral suasion del funzionario o del politico di turno.
Detto della legittimità di pagare qualcuno perché lavora (siamo arrivati a questo, a doverci scusare se chiediamo soldi perché si lavora), se poi tiri fuori la questione dei risparmi, allora vuol dire che hai sbagliato mestiere.
Hai voluto fare la riforma? Sì. Bravo.
Hai promesso mari e monti in termini di cambiamento? Certo, condivido.
Devi chiamare qualcuno dall’esterno perché all’interno potresti non avere personale abbastanza qualificato (eufemismo)? Ok, premio il tuo realismo!
Com’è che vuoi tutto questo senza pagare? Ma in che mondo vivi? Ma scherziamo? E’ un tuo problema, non mio. Il lavoro va pagato.

Quindi riassumendo.
Legge e opportunità vuole che siano esplicitate le collaborazioni (onerose e non) organiche del ministeri e delle pubbliche amministrazioni.
Il lavoro deve essere pagato e nessuno si scandalizza se i costi sono in linea con le tariffe del mercato.

No excuses: tirate fuori i nomi, gli incarichi e le cifre.

Carlo Mazzini

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