Quale criterio utilizzeremo per giudicare il Codice del Terzo settore?

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Tra pochi giorni saranno online i testi della riforma e li troverete sui siti di Camera e Senato.
Mi sono chiesto in queste ultime settimane come approcciarmi ad essi, quale sentiment può essere utile a me e ai miei clienti (oltre che a voi, affezionati lettori).
Perché fare la parte di quello che critica e prende per il culo tutto tutti, va bene, ma in questo caso quanto è funzionale? Serve? A me, a voi? No.
Inoltre, ciò che è inutile è dannoso. Con un atteggiamento strafottente perderei tempo (risorsa preziosa) e credo anche quel poco di lucidità che mi è rimasta, quello scontro di neuroni che il caso vuole che si verifichi ogni tanto all’interno del vuoto cosmico della mia scatola cranica.
Quindi, la mia posizione è la seguente.
Il Codice del Terzo settore, la madre di tutte le leggi, quella che nel bene e nel male ci farà compagnia per i prossimi 20 anni, è stato scritto e da qui a 45 giorni potrà essere modificato, emendato ecc.
E’ stato scritto da seri professionisti, da solerti funzionari, con scienza e coscienza.
Prima di dire quali errori hanno fatto (e li hanno fatti), diciamo che si sono presi una bruttissima gatta da pelare – per mestiere, non per volontariato, certo – e che da parte mia va a loro tutta la solidarietà per un lavoro IMPROBO che a mio avviso è in gran parte condivisibile.
Ci sono alcune questioni fondamentali (quindi non marginali) da correggere in quanto porterebbero casini alle organizzazioni e le questioni sono di tre tipi: la prima è che in determinati passaggi c’è una indefinitezza del significato di alcune parole o espressioni che porterà ad infiniti ricorsi e contestazioni. Bisogna subito intervenire dando maggiore sicurezza alle parole (soprattutto in campo fiscale). Se non viene fatto si rischia – scusate il francesismo – che vada tutto a puttane, eventualità che – superati i tempi del bunga bunga – pare non essere più politicamente qualificante.
La seconda questione è che ho trovato dei buchi che rischiano di lasciare alcune categorie di enti in uno stato di anomia, e direi che anche questo è un rischio da evitare.
La terza è che su pressioni politiche sono state fatte passare sui volontari delle aperture che snaturano il profilo del volontariato. Errore marchiano non scusabile.
Questo per quanto ho capito nel leggere le bozze peraltro non definitive del decreto. Poi chissà quanto non ho capito!
C’è una questione anche di impostazione. Mi piace l’impostazione tecnica che è stata data, anche se bisognerebbe dare una maggiore solidità all’impianto con alcuni accorgimenti.
Quello che non ho gradito dal punto di vista tecnico è l’apparente assenza di sforzo per semplificare il linguaggio giuridico, e se non cambia sarà un vulnus che ci porteremo avanti per tanto tempo. Direte: ma il linguaggio delle leggi è di per sé complesso. Non è per nulla vero. Andate a leggere la L 266/91 o scorrete gran parte del Codice Civile o confrontatevi con la Costituzione. E noterete che proprio il tipo di approccio è diverso.
Dal punto di vista politico (responsabilità dei politici), quello che non ho gradito è
– la volontà di non far rientrare lo sport dilettantistico tra gli enti del Terzo settore (che possono esserlo, ma che eviteranno di farlo), rimandando a prossimo disegno di legge la riforma del comparto
– la miopia di non far diventare il codice un testo unico di raccolta di norme e delle tipologie differenti; dove sono le (vecchie) ONG? Sono rimaste nella 125/14 e possono essere ETS ma seguiranno due leggi. Rammento che incrociare due leggi è più complesso che interpretarne una.
– la volontà di fare una distinzione manichea (questo è il prodotto della legge) tra chi sta dentro gli ETS e chi sta fuori. Vorrei sbagliarmi, ma se l’asticella per entrare nel comparto è alta (non dal punto di vista etico, ma di adempimenti, di conoscenza ecc) chi rimane fuori ed è solo ente non commerciale (lato tax) e associazione (lato legal) ha persino meno agevolazioni (quelle base) di quelle attuali. Si va quindi a minare il diritto di associarsi sancito dalla Costituzione e il diritto di non essere vessati dal fisco sancito dal buon senso.
Ad esempio: ottima idea quella di evitare di far fare l’EAS agli ETS, ma se l’EAS è la madre di tutte le cazzate (lo dico da 8 anni!) non ha senso lasciarlo a chi senza colpa non è ETS. Una cazzata rimane tale a chiunque la si applichi, no?

In sostanza, ora che tutti avremo tra poco i testi reali dei decreti potremo dare il nostro contributo, chi direttamente a Bobba, chi ai tecnici, chi ai parlamentari, chi lo scriverà nel vento.

Attenzione: uno smodato, cioè io, vi mette in guardia che il modo in cui direte le cose sarà tutto.

A mio avviso la petizione ha ancora senso, se non persino “più senso” di prima, in quanto nel confronto tra i 9 punti della petizione e i testi del Codice troverete che ASSIF ci ha azzeccato, e non poco.
Se Bobba avesse la buona creanza di rispondere ufficialmente ad ASSIF (1) si confermerebbe la persona bene educata che stimiamo e (2) farebbe conoscere a tutti noi le ragioni per un accoglimento o rifiuto della richiesta di proroga.

La settimana entrante sarò al Festival del Fundraising a parlare dei contenuti con un taglio dedicato proprio ai fundraiser e al fundraising. Quanto impatterà la riforma sul loro lavoro, sull’attrattività delle loro cause? Ci vediamo!

Carlo Mazzini

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