Facciamo la riforma a pezzi, per capirla

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Buongiorno, sono mr Prezzemolino; infatti, in questo periodo vengo chiamato un pò ovunque per parlare della riforma e io – a pagamento, vado fiero di sottolineare questo aspetto assolutamente venale – rispondo alle chiamate.

Sulla #riformaterzosettore abbiamo un grosso problema che è anche una grossa opportunità.
Sono 161 gli articoli di cui si compone il complesso dei decreti legislativi recanti la riforma, escludendo la Fondazione Italia Sociale, e un articolato numericamente così popolato ci pone il grosso problema di come parlarne e ancor prima di cosa parlare.
Non si può infatti pensare che in spazi che vanno dai 10 minuti alle due ore e mezza si possa parlare di tutto. Poi bisogna chiedersi chi si ha davanti e cosa può recepire, e pertanto adattare i temi e i linguaggi all’uditorio.
Dette così sembrano a prima vista delle banalità, ma a pensarci bene, anche a seconda vista sono banalità.
Quello che non è banale è scegliere COSA dire e COME dirlo.
Sul COSA e su COME dire possiamo affermare che c’è solo l’imbarazzo della scelta, dato il numero di articoli e le materie toccate dalla riforma. Ma attenzione che l’imbarazzo della scelta non diventi l’imbarazzo di ascoltarvi e non capire nulla, in quanto avete messo troppe nozioni in un discorso che alla fine non appare lineare.

A metà settembre ho avuto l’onore di tenere un webinar con Valerio Melandri e lo staff del Master di Fundraising e del Festival del Fundraising (e qui taccio dell’altissima professionalità del lavoro svolto da tutti loro, Selene e Giulia).
Abbiamo quindi scelto di tagliare il tema (il greco è alla base di tutto per capire: témno significa “io taglio” dal quale derivano tema, tomo, tomografia, atomo ecc) sui punti fondamentali della Riforma che toccano il fundraising.
Ne abbiamo parlato confrontando le 10 ragioni per amare la Riforma con le 7 ragioni per temerla. Era un modo per dire: esponiamo i plus e i minus che interessano proprio voi.
Ma avremmo potuto fare (e magari lo faremo in altri lidi) un ragionamento ancora più pratico, ad esempio sulle 5 decisioni da prendere entro 50 giorni a seguito della Riforma, incentrato non solo sul fundraising ma anche sul ruolo che il fundraiser ha all’interno dell’ente (governance, centri decisionali ecc), che è cosa diversa che ragionare solo su 5 per mille o nuova deducibilità delle donazioni.

O ancora: qualche giorno fa con Niccolò Contucci abbiamo presentato per i soci di ASSIF (Gruppo territoriale della Lombardia) un dialogo con canto e controcanto su alcuni aspetti legati alle maggiori opportunità di ottenere fondi grazie alla riforma. Si è andati a leggere anche un pò di dietro le quinte ma anche che cosa un ente dovrebbe fare nei prossimi mesi per prepararsi alle novità soprattutto del 2019 (attività commerciali in libera uscita).
Oppure, ancora e sempre sul fundraising: parliamo della riforma e su come coinvolgere i diversi stakeholder nella spiegazione della stessa, in modo da presentare la nostra organizzazione 1. informata; 2. già preparata a cogliere i cambiamenti; 3. proattiva nel rendere partecipi gli stakeholder dei cambiamenti che investiranno l’ente.

Oppure si può pensare ad un “di cui”: raduno i donatori per spingerli nel 2018 a donare di più, o a sfruttare il social bonus ecc. Aumento quindi il commitment dei donatori (li posso dividere tra corporate, persone fisiche, major donors ecc).

Capite che “l’esplosione” dei temi e le modalità di trattamento degli stessi rappresentano un’opportunità notevole per gli enti, per i professionisti e per i formatori.
Se poi abbandoniamo il tema del fundraising e entriamo in quelli della fiscalità / contabilità, dei controlli, dei rapporti con la PA (ne ho accennato ad un incontro con il CSV di Vicenza), delle fasi di attuazione, della comunicazione verso il pubblico (per crescere l’awareness dell’ente), della gestione delle risorse umane (differenziando i volontari, dai lavoratori, dal servizio civile universale …), della definizione delle attività di interesse generale, delle attività diverse … non la finiamo più.
Appunto, non la finiamo più. Ma la gente, nella confusione, si confonde.

Ai primi di ottobre sono stato invitato da Ciessevi Milano, Fondazione Sodalitas e Fondazione Umanamente (Allianz) al Salone dell’innovazione sociale e della CSR. A parte un problemino di organizzazione per cui è stata lasciata una frotta di gente fuori dall’aula (dentro 120, fuori altrettanto, peraltro inferociti), il tema che ho svolto con la notaia De Paoli è partito da una considerazione degli organizzatori: se siamo alla Bocconi, non dobbiamo parlare del destino delle non profit, ma di cosa succederà alla “liaison profit – non profit” (vedi alla voce CSR). Di più: ci siamo chiesti come far capire che se sono un’azienda posso avere due finalità: A) attività erogativa (anche tramite fondazione) B) attività di business seppur “sociale”. E ancora in B) l’ipotesi buy or make, cioè (BUY) io azienda collaboro con la non profit per realizzare assieme (in sintonia con il mio business, voglio vendere di più) un fine anche sociale, oppure (MAKE) io azienda ne ho per l’anima di collaborare con ETS terze e mi faccio da sola l’impresa sociale o l’ente di terzo settore che può fare anche attività commerciale in maggioranza senza perdere la qualifica di ETS.
La notaia ha riportato gli essentials giuridici, io alcune informazioni fiscali.
Ma capite bene che potevamo anche approfondire le questioni (nello specifico di A e B, di BUY or MAKE) relative a fundraising, comunicazione, governance (l’impreparazione congenita dei CD) ecc.

Pertanto, cari amici formatori, professionisti, centri di servizio, giornalisti, evitiamo il più possibile l’effetto minestrone, dove mettiamo tutti gli ingredienti nessuno escluso. Iniziamo invece a servire l’insaccato, tagliato fine fine, e se possibile cerchiamo di dare gusto a quello che diciamo: ma questo è un altro discorso.

Carlo Mazzini

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