Legge 124: rendiconti online. Ecco il parere poco convincente del Consiglio di Stato

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Il CSVnet (Coordinamento dei Centri di Servizio) ha fatto sapere ai soci che è stato finalmente pubblicato sul sito del Consiglio di Stato il parere dei giudici amministrativi in merito alla 124/17, quella norma che prescriveva la pubblicazione dei rendiconti online delle entrate pubbliche alle organizzazioni non profit e alle imprese e della quale parlammo qui per la prima volta un anno fa e che riprendemmo successivamente (cerca “124”).
Ecco il parere
Nella sostanza, i Giudici di Palazzo Spada affermano che la rendicontazione è obbligatoria dal 2019 (sul 2018) e che la sanzione (ti richiedono indietro i soldi) è applicabile solo alle imprese.

Mi rallegrerei per questa interpretazione che sembrerebbe mettere fine ad un incubo; purtroppo non mi convincono (è un eufemismo) le ragioni sottese e quindi non mi rallegro.

Prima questione dei termini di applicazione. Perché non sarebbe applicabile una legge del 2017 per il 2018? Stiamo parlando di un obbligo di rendicontazione pubblica online, ricordiamocelo. Mi viene chiesto che io raccolga i dati del 2017 (entrate di natura pubblica) e li pubblichi online. I giudici ritengono che sia il fumus della retroattività che nelle leggi vale solo se riportata espressamente nel testo.
Secondo il parere dei giudici amministrativi (che aderiscono alle ipotesi del Ministero sviluppo economico richiedente il parere) “l’Amministrazione evidenza che le norme in questione sono entrate in vigore il 29 agosto 2017 e se si dovesse ritenere che le stesse operino sulla rendicontazione 2017, tutti gli operatori si troverebbero ovviamente nella situazione di non aver raccolto alcun dato in maniera strutturata e sistematica almeno per i primi nove mesi del 2017, quando le norme in questione non erano in vigore nel nostro ordinamento. Ciò dovrebbe valere tanto per gli obblighi introdotti a carico dei percettori, quanto dei soggetti erogatori, con incombenze non indifferenti per le società di revisione”.
A Genova c’è un detto “mi tocco se ci sono”. Come dire: non posso crederci. Tu piccola organizzazione di provincia ricevi dalle amministrazioni pubbliche almeno 10mila euro (soglia minima dell’obbligo), che peraltro non possono che pervenirti per via bancaria, e ti trovi in difficoltà a raccogliere i dati? Ma per cosa ci prendono, per dei deficienti che se ricevono un contributo pubblico non sanno registrarlo su un foglio excel? Diciamo che è abbastanza offensivo come concetto.
Poi prosegue: “La Sezione osserva che, oltre alle difficoltà di ordine pratico ed economico segnalate nella richiesta di parere, non possa non essere tutelata la riservatezza del soggetto che ha effettuato erogazioni dall’inizio dell’anno 2017 e fino all’entrata in vigore della legge, riservatezza che viene superata, sia pure per importi eccedenti una certa soglia, dalle norme in esame.”
E due. Non ci posso credere. Ma di che riservatezza stanno parlando? Sono soldi pubblici concessi, erogati, contrattualizzati con soggetto privato. Di cosa stanno parlando? Non esiste riservatezza!!!

Poi il Consiglio di Stato si produce anche sulla questione della sanzione. Afferma che a suo avviso la norma è da interpretare nel senso che la restituzione delle somme è sanzione da riferirsi solo alle imprese.
Aderisce all’interpretazione del Ministero e cioè che dato che la norma fa riferimento alla “data di cui al periodo precedente”, e, contando i periodi, quello precedente è quello sulle imprese, allora la sanzione è da riferirsi solo alle imprese.
Analizziamo. Nel periodo precedente non esiste una data. Infatti le imprese non sono vincolate al 28 febbraio né all’online ma devono riportare i dati delle sovvenzioni ecc. “nella nota integrativa del bilancio di esercizio e nella nota integrativa dell’eventuale bilancio consolidato”. Entro i termini civilistici, un’azienda può quindi deliberare il bilancio d’esercizio quando vuole.
“La data di cui al periodo precedente” se riferita alle imprese, non esiste.
Tanto è vero che i tecnici del Senato se ne accorsero e scrissero nel Dossier 494 2 sull’Atto Senato 2085-B:
“Gli obblighi di pubblicazione di cui sopra decorrono dall’anno 2018 e la pubblicazione deve avvenire entro il 28 febbraio di ogni anno con riferimento alle informazioni riferite all’anno precedente.
Il comma 125, secondo periodo, introduce un analogo obbligo in capo alle imprese, tenute a rendere noto qualunque tipo di sovvenzione ricevuta dai medesimo soggetti pubblici di cui sopra. Gli importi relativi devono essere pubblicati nella nota integrativa del bilancio di esercizio e nella nota integrativa dell’eventuale bilancio consolidato.
Il comma 125, al terzo periodo, introduce una disposizione sanzionatoria in caso di mancato assolvimento degli obblighi di pubblicazione.
In caso di mancata pubblicazione, i soggetti inadempienti sono tenuti alla restituzione delle somme entro tre mesi dal termine “di cui al periodo precedente” [rectius: dal termine del 28 febbraio].”
Rectius! Quindi i tecnici del Servizio Studi (che Iddio ce li conservi!!!) hanno capito che si trattava di un errore materiale (mancava la data nel periodo precedente e l’unica data del comma era quella di due periodi precedenti) e hanno letto, a mio avviso, in modo più realistico la norma.
Inoltre, il CDS afferma senza scomporsi e senza timore di cadere nel ridicolo
“La Sezione ritiene di dover aderire all’interpretazione proposta nella richiesta di parere, potendosi argomentare facendo leva anzitutto sulle diverse strutture e finalità dei soggetti indicati rispettivamente sotto le lettere a) (NON PROFIT, ndr) e b) (PROFIT, ndr). Tale differenza (che può sintetizzarsi nell’esistenza o meno di un fine di lucro) giustifica, se non impone, un trattamento differenziato.”
Fammi capire: il legislatore impone una norma (brutta, mal scritta e insensata) per dare maggiore trasparenza ai sussidi e alle risorse pubbliche concesse al non profit e alle aziende e tu affermi che la sanzione verso il non profit non esiste perché il fatto di essere senza scopo di lucro giustifica “se non impone” un trattamento differenziato, cioè una pacca sulla spalla e una tiratina d’orecchie? E’ davvero sconcertante come anche il CDS svilisca il non profit.

Ma allora questo parere è una buona notizia, sì o no?
Da un lato SI, in quanto è un parere di un organo costituzionale autorevole e quindi se un’amministrazione vi chiedesse indietro i soldi per mancata pubblicazione, il peso del parere (non obbligatorio ma SOPRATTUTTO non vincolante) è notevole.
Dall’altro NO. Non è una buona notizia perché
a. i ragionamenti logico sistematici che dovrebbero stare alla base del parere (interpretazione della norma) sono poco logici e per nulla sistematici.
b. un qualsiasi TAR potrebbe dar ragione all’amministrazione pubblica procedente contro di voi e non tener conto del parere del CDS rilevandone le falle
c. qualcuno vi dirà che non esistono sanzioni (secondo il CDS) e quindi potete anche non adempiere; segnatevi il nome del qualcuno, chiedetegli un parere scritto che intendete pagare e anticipategli che se una qualsiasi amministrazione chiedesse all’organizzazione indietro le somme del sussidio (per mancata pubblicazione), il professionista dovrà concorrere ai costi! Vediamo quanti scrivono il parere.

E’ così, quindi che è andata e va ancora l’Italia, dalle più alte sfere in giù.
O ce ne facciamo una ragione o prendiamo la via per Mentone. Com’è triste Mentone, però!

Carlo Mazzini

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