Perché sbaliamo

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Questa è la veloce cronaca di un errore, il mio, che può essere utile (la cronaca, non l’errore) per tutti voi.

Poche settimane fa, un caro amico, capace fundraiser, mi ha scritto che, in relazione ad una certa tematica sulla quale gli avevo reso un parere alcuni anni fa, avevo toppato, sbagliato, fatto cilecca, errato, preso un abbaglio.

Avevo una convinzione corroborata dal fatto che l’Agenzia delle entrate si fosse espressa in un certo modo; non mi ero accorto che quel parere dell’Agenzia era stato contraddetto dalla stessa Agenzia l’anno dopo.

Dopo aver verificato le prove a mio carico, ho ammesso di aver sbagliato, ovviamente scusandomi oltre che motivando le ragioni del mio errore. Non vi riporto l’oggetto dell’errore perché sono sadico 😄 e perché non è questo il tema di questo mio post.

Il tema è: perché ho sbagliato? Anzi: perché sbagliamo su concetti / saperi sui quali riteniamo di essere sicuri?

Togliamo dal campo le questioni personali del tipo “sei un maledettissimo presuntuoso”, “sei superficiale” e altre gentilezze del genere.

Non mi importa (né vi importa) come sono io. Rileva invece comprendere se ci sono – al di là delle questioni “caratteriali” – ragioni altre che ci portano a commettere errori di parallasse, a non vedere le cose come stanno anche se le conosciamo bene. Non sto quindi parlando di ragioni esterne a noi, ma solo di quelle interne.

Parlo di distorsioni cognitive (o bias cognitivi) che sono quelle deviazioni da ciò che sarebbe razionale e che agiscono in noi per una sorta di pigrizia mentale. L’autore di riferimento è Kahneman (Pensieri veloci e pensieri lenti, ve lo consiglio; ma attenzione è un tomo considerevole), vincitore su questo tema di un premio Nobel per l’economia nel 2002.

Cercando – da non esperto – i bias che potrebbero riferirsi a questa topica, credo di aver trovato quelli che possono in qualche modo spiegare l’accaduto.

Perseveranza nella credenza, Bias di conferma, Overconfidence effect.

Soprattutto l’overconfidence effect che è in agguato quando sei troppo sicuro di te, giudichi male il tuo valore, opinione, convinzioni o abilità e hai più fiducia in te e nei tuoi mezzi di quanto dovresti, sulla base di parametri oggettivi della situazione.

Siete in montagna e portate i vostri amici, nuovi del posto, su un sentiero da voi conosciuto. Non controllate i siti di riferimento per sapere se ci sono state deviazioni causate da valanghe o frane e arrivati ad un certo punto non ritrovate più il modo di salire.

Questo bias non sta dicendo che io sia ignorante, superficiale, che non conosca la materia. Mi dice che 

  1. non intendo uscire dalla mia zona sicura definita a suo tempo (i fighi la chiamano comfort zone)
  2. pur sapendo che il mondo cambia (lo riconosco), ritengo che le mie convinzioni sul mondo che cambia debbano rimanere sempre le stesse e che quindi non ci sia ragione per tornare a rinvangare una questione (un tema) che ho esaminato migliaia di volte. Precisiamo:
    1. vedo il mondo cambiare ma per quanto esso cambi non voglio mutare i miei paradigmi
    2. il mio sapere si basa su una certa esperienza consolidata; se ammetto che molto di ciò che so è soggetto a cambiamento, temo per la mia solidità, per la mia tenuta (anche agli occhi di terzi) sull’argomento.

Aggiungo che parte delle preoccupazioni che molti professionisti hanno espresso sulla Riforma del terzo settore ha origine proprio da questo freno al cambiamento.

Vedete che estrapolando dal caso specifico la questione, si può arrivare più in profondità per capire come funzioniamo (di nuovo: al di là dei nostri caratteri) e di come funziona il nostro cervello.

Sempre che funzioni, ecco.

Carlo Mazzini

PS: il titolo ha un errore evidente voluto … giusto per attirare la vostra attenzione 😀

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1 commento

  1. Ammettere di aver sbagliato è il primo passo per migliorare, quindi un articolo come questo aumenta molto la mia opinione dell’affidabilità dell’autore!

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