Responsabilità nell’appalto: colpito anche l’ente non profit

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lavori-in-corsoMa questi sono proprio matti! Nel leggere la Circ 2/13 dell’Agenzia delle Entrate mi sono accorto – colpevolmente in ritardo – che una norma che credevo seppellita nelle modifiche di legge è stata riesumata in tutta la sua bruttura nell’agosto scorso. Il riferimento è l’art 35, cc 28 e segg DL 223/06.

Quando un ente non profit (così come un’azienda) dà in appalto – non importa con quale procedura – un lavoro (prestazione di servizi e non fornitura di beni) ad un’azienda (soggetta ad IRES, quindi non ad una persona fisica ancorché munita di P IVA), prima di pagarlo deve farsi dare da esso un’attestazione nella quale palesi che l’appaltatore medesimo ha versato correttamente le ritenute fiscali sui redditi da lavoro dipendente e dell’IVA dovuta dall’eventuale subappaltatore.

Se l’ente non profit paga comunque l’appaltatore senza aver ricevuto dallo stesso l’attestazione degli avvenuti pagamenti, e se i versamenti non sono stati effettuati, l’ente non profit (più in generale il committente) rischia una sanzione che va da 5.000 euro a 200.000 euro!

Facciamo un esempio.

Se chiediamo ad un’impresa si pulizia di firmare un contratto di appalto di fornitura di opere e di servizi appunto per la pulizia dei nostri locali (dormitorio, centro anziani ecc), dobbiamo ricordarci di inserire nel contratto – e comunque di adempiere in questo senso – la condizione sospensiva per il pagamento di acconti e saldi consistente appunto nel fatto che l’appaltatore – cioè la cooperativa di servizi – deve dimostrarci di aver pagato le ritenute fiscali di lavoro dipendenti e l’eventuale IVA dovuta dal subappaltatore.

Quella della responsabilità solidale dell’appaltatore sul sub-appaltatore e – per noi più rilevante – del committente sull’appaltatore è davvero una storia antica che parte appunto dal 2006, regnante (per così dire) Prodi. C’erano già le sanzioni per il committente. Nel tempo questa norma ha subito modifiche (ben 11!!!) in poco più di 6 anni.

In questi anni c’è stato un primo periodo nel quale sono stati esclusi dall’obbligo (come committenti) gli enti non commerciali, poi è stato tolta la responsabilità del committente, poi è stata reintrodotta ma in termini di responsabilità solidale con l’appaltatore (quindi senza la sanzione tra 5 e 200 mila euro, ma variabile a seconda dell’evasione) ma solo se il committente era imprenditore, e infine è stata reintrodotta (ma per qualsiasi committente purché non persona fisica) la sanzione stand alone tra i 5 e i 200mila euro dai tecnici.

Per cambiare 11 volte in 6 anni e mezzo è chiaro che abbiamo avuto

a. fughe in avanti di singoli parlamentari, maggioranze ecc

b. ripristino del disegno originale da parte di funzionari del Ministro dell’Economia

Perché bisogna spiegare che fin dal 2006 questi geni del male hanno ritenuto che addossare in capo a molti la responsabilità del versamento delle imposte sia uno dei modi per contrastare l’evasione fiscale. Io non so se abbiano ragione, se alla prova dei fatti ciò faccia alzare realmente le entrate fiscali; quello che so è che è una modalità folle di pensarsi di come funziona l’economia la quale si basa sulla velocità e su confini certi di responsabilità.

Per tornare al nostro specifico, capite bene che una associazione che ha dato in appalto una prestazione di servizi come quella esemplificata prima deve

a. conoscere la norma

b. applicarla

Voi direte: ma è sempre così! Certo, solo che questa norma – anche a causa dei continui ritocchi – non ha interessato il non profit per ben 4 anni (fino a agosto 2012 circa). Si pensava che dare questo carico ad enti non profit (e a mio avviso a qualsiasi imprenditore) fosse davvero una follia, e così evidentemente l’ha pensato anche il legislatore per molto tempo.

E’ ad agosto 2012 che hanno fatto il pasticcio e, non escludendo esplicitamente gli enti non profit, li hanno ri-assoggettati ad un onere davvero pesantissimo.

La colpa dell’ultimo governo di cosiddetti tecnici – che evidentemente si sono fatti influenzare dai boiardi della burocrazia ministeriale – è proprio il fatto di non aver compreso la “portata” della norma, anche per gli enti non profit.

Ma di cosa mi stupisco! Non hanno neppure saputo contare il numero di “esodati”. Figurati saper prevedere le conseguenze di una pratica burocratica castrante, che riduce o attarda la liquidità in un mercato già asfittico.

Carlo Mazzini

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