Fatture digitali: il problema della conservazione digitale

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Farsi problemi dove non ci sono. Non farseli dove ci sono. Ecco, questa è la prerogativa di alcuni amministratori di enti pubblici e forse non solo loro.

La questione della fatturazione pubblica è semplice dal punto di vista della soggettività. Già dicemmo che chi non doveva prima emettere fattura cartacea, non dovrà in futuro emetterne una elettronica. Era un ragionamento quasi offensivo nella sua semplicità / banalità; ma quello era il problema per molti enti non profit che si vedevano richiedere da amministratori pubblici la fatturazione elettronica, anche quando non dovuta.

Ora, il Ministero dell’Economia non è che dia ragione a noi, ma alla logica e dice, rispondendo ad un’interrogazione parlamentare, quello che abbiamo sempre sostenuto. Qui la nota del Ministero.

Ma, come dicevamo, i problemi veri sulla fatturazione digitale sono altri.

La conservazione digitale delle fatture è forse l’anello debole del processo di fatturazione digitale. Vediamo perché.

Che la fattura digitale non sia un problema è ormai assodato: le piattaforme digitali per la produzione dei flussi telematici diretti ai vari uffici della Pubblica Amministrazione (PA) sono intuitive e sufficientemente rodate.
Il problema può essere la conservazione digitale delle fatture e alcuni altri elementi da tenere ben presenti prima di iniziare a fatturare.
Procediamo però con ordine, partendo dalle operazioni preliminari utili per la preparazione dei documenti diretti alla PA.

Prima di iniziare occorre avere a disposizione almeno questi dispositivi:

  • casella di posta elettronica certificata (PEC)
  • firma digitale (su smart card o su usb pen)
  • marche temporali (time stamping)

senza i quali non si può nemmeno iniziare a lavorare.

Giusto per chiarire le idee a chi le ha ancora un po’ confuse, la firma digitale NON è la scannerizzazione della propria firma, ma un dispositivo che permette di rendere riferibile univocamente un documento in formato digitale ad un soggetto che vi ha apposto la propria firma digitale. Lo stesso dispositivo permette di criptare il documento e, qualora lo stesso sia manomesso, alla successiva lettura, ne viene segnalata la manomissione.

Per ottenere i dispositivi, ci si può rivolgere a vari fornitori.
E’ sufficiente fare un giro in rete e vedrete che non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Se si ha fretta, il legale rappresentante dell’operatore che emetterà le fatture digitali può andare, per esempio, in una Camera di Commercio munito di un documento in corso di validità e il tutto si risolve velocemente. Se si può attendere un po’ di tempo, si possono acquistare i dispositivi in rete e attendere che siano consegnati via corriere.

Sempre prima di iniziare, dove per “prima di iniziare” si intende “prima di iniziare la prestazione nei confronti della PA”, l’operatore è bene che contrattualizzi la prestazione e quindi è bene che stipuli un contratto scritto all’interno del quale vi dovranno essere i seguenti codici:

  • CIG – codice identificativo di gara
  • CUP – codice univoco di progetto
  • Codice univoco ufficio

I codici CIG e CUP sono necessari ai fini della tracciabilità dei pagamenti, assieme alla comunicazione del conto corrente dedicato. La norma di riferimento è la legge 136/2010 e maggiori informazioni si possono reperire presso l’Autorità Nazionale Anticorruzione – ANAC (già Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture – AVCP)

Il codice univoco ufficio invece si può trovare sul portale FatturaPa.
Il codice univoco ufficio è uno degli elementi più importanti per instradare correttamente il documento digitale che, diversamente, resterà sospeso nella rete informatica ma non giungendo mai a destinazione non darà alcuna possibilità al fornitore di ricevere il pagamento di quanto fornito.

A questo punto, se avete realizzato un percorso netto, si può passare a fatturare e, ammettendo che la fattura sia giunta a destinazione e sia stata accettata dal soggetto destinatario, entro 3 mesi dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi si dovrà “portare in conservazione” cioè archiviare secondo le norme vigenti.

Questo è l’aspetto tecnico sul quale forse non si è riflettuto abbastanza poiché non si tratta solo di applicare la firma digitale e il time stamping sul blocco dei documenti digitali portati in conservazione, ma si deve disporre anche di un software che permetta di effettuare le estrazioni dei documenti e di un soggetto (notaio) che dichiari la conformità (e quindi la rispondenza) tra il documento digitale e quello riprodotto in forma cartacea.

Non solo. Occorre tenere ben presente che, se il fornitore della PA emette contemporaneamente fatture digitali e fatture cartacee e non usa una numerazione e registrazione a sé stante, dovrà portare in “conservazione digitale” anche le fatture cartacee.

Facciamo un esempio:

  • ho emesso 50 fatture cartacee a soggetti che NON sono della PA
  • emetto una fattura digitale alla PA con il numero 51
  • le successive fatture dell’anno sono tutte cartacee.

In una situazione come questa dovrò scannerizzare in formato pdf/A o tiff tutte le fatture cartacee e portare tutto il lotto in conservazione digitale entro i 3 mesi successivi alla data di presentazione della dichiarazione dei redditi del 2015.

Se invece alla fattura digitale do una numerazione a sé stante e la registro su di un registro IVA sezionale, dovrò portare solo la fattura digitale.

E’ intuitivo perciò che il particolare non è di poca importanza.

Così come non è di poca importanza il fatto di organizzare adeguatamente il servizio di conservazione digitale a norma poiché il periodo di conservazione (10 anni) va certamente oltre la vita media di un personal computer e ancor più di un portatile.

Meglio pensare a soggetti esterni affidabili che dispongono di sistemi ridondanti (cioè hanno la possibilità di registrare su sistemi diversi, geograficamente dislocati) capaci di garantire un’adeguata durabilità della conservazione e, soprattutto, di offrire il servizio di estrazione con dichiarazione di conformità dei documenti digitali.

Ne avevamo già parlato in dicembre, tra l’altro precorrendo i tempi delle interrogazioni parlamentari di questi giorni.

Gianpaolo Concari

 

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