Perché è buona l’idea di un’authority e perché non la faranno

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La XII Commissione della Camera sta lavorando con una certa continuità alla discussione del disegno di legge delega sulla riforma del Terzo Settore e la questione dell’Authority del III settore è all’ordine del giorno proprio in questi giorni.

C’è chi la vorrebbe e chi no. Purtroppo il Governo – rappresentato dal sottosegretario Bobba – è sul fronte del no, e con lui la relatrice Lenzi che sta invitando i deputati della Commissione a votare un suo nuovo emendamento che asfalterebbe gli emendamenti di altri deputati che invece prevedono l’istituzione di un’Authority.

Dato che tra qualche giorno la Commissione voterà per una delle due ipotesi (Authority sì o no), diamo ai nostri eroi alcuni elementi per capire quale delle due scelte sia la migliore.

La Lenzi e Bobba l’hanno messa subito sui soldi: non ci sono soldi per fare un’Authority. Alcuni deputati hanno suggerito di prenderli dal 5 per mille nella misura massima dell’1% (proposta Carnevali 2.02).

Ho già argomentato – 9 mesi fa, qui – che l’Authority costerebbe meno e renderebbe di più rispetto al sistema attuale di gestione decentrata dei registri. Abbiamo 20 regioni, ogni regione detiene almeno tre registri (persone giuridiche, volontariato e promozione sociale) cui si aggiunge il fatto che in alcune regioni i registri sono tenuti dalle Province, poi ci sono un centinaio di Prefetture che con alterna fortuna, coscienza e conoscenza gestiscono il registro delle persone giuridiche. Poi non ci facciamo mancare le Direzioni Regionali delle Entrate che gestiscono l’Anagrafe delle Onlus (che sarebbe una sola ma i funzionari e le prassi sono le più diverse, una per regione, appunto). Ci tocca anche il Ministero Affari Esteri che, dato che ha fatto tutto il casino che sappiamo con le ONG, viene premiato con la gestione (attraverso un’Agenzia ad hoc, ma comunque riferita al Ministero) dell’albo delle organizzazioni di cooperazione internazionale. Sul CONI e sulla sua gestione dell’elenco delle sportive dilettantistiche non parlo, giusto per sportività.

Ma come dimenticare il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali? Qualche anno fa gli sono state affidate le funzioni della fu Agenzia del Terzo Settore, e dato che sta dando così bella prova di ciò che non sa fare, Bobba e Lenzi (i Bonny & Clyde della Riforma) pensano di affidare a questo fulgido esempio di efficienza il compito non solo di gestire il registro unico ma anche la vigilanza e tutte le funzioni di quella che invece dovrebbe essere un’Authority.

Inutile dire che Regioni, Province, Prefetture, Direzioni Regionali delle Entrate e Ministeri applicano le leggi (criteri di ammissione degli enti, ad esempio) sulla base del federalismo condominiale. Per un condominio la legge dice una cosa, per quello accanto il senso della stessa legge è assolutamente l’opposto.

Pertanto, se calcoliamo quanti funzionari pubblici ad oggi devono stare dietro agli elenchi, spesso capendone poco o nulla, e qual è il costo di questa ignoranza in termini di perdita di tempo e di inefficienza, capite bene che mettere qualcuno di competente in un unico luogo che gestisca e coordini registro unico e vigilanza sugli enti, ha un che di rivoluzionario; e soprattutto si risparmierebbero molti costi, non solo diretti ma anche indiretti.

Dal punto di vista dei soldi, conviene avere un’unica Authority sola? Sì

Ma Bonny & Clyde dicono: benissimo, per risparmiare facciamolo fare a qualcosa che già esiste, al Ministero del Lavoro.

Due ordini di problemi: come detto, finora la gestione del Ministero del Lavoro sul tema del non profit è stata – a voler essere buoni – deficitaria. Non conoscono la materia e fanno di tutto per palesare questa ignoranza.

Secondo problema: il Ministero è … un ministero. E’ quindi un luogo politico, soggetto ai cambiamenti politici, alle correnti dei sottoboschi del potere, ogni proposta viene valutata sulla base della convenienza politica. Essendo un Ministero è un luogo dove la burocrazia si spartisce il potere con la politica (spesso in antagonismo) e quindi vale il discorso di prima. Il funzionario sa che lui durerà più del sottosegretario di turno, quindi lo compiace ma fino ad un certo punto. Tira e molla la corda a seconda delle fortune politiche del Governo, soppesando quello che gli può succedere se fa opposizione al potere politico o se lo asseconda.

Questa non è una tesi, è la realtà.

Di tutto abbiamo bisogno meno che di affidare a questi Talleyrand in sedicesimi le sorti del non profit.

L’Authority ad un Ministero? NO

Un’Authority indipendente, nominata sì dal Parlamento ma successivamente non influenzabile, potrebbe essere la soluzione. Certo, bisognerebbe metterci gente che avesse un po’ di coraggio, non certo chi ha fatto parte dell’ultima consiliatura della fu Agenzia del Terzo Settore (Zamagni in testa) che, soggetta a tutte le angherie della politica, non è stata neppure capace di dimettersi per protesta. Anzi, c’è stato chi ha saltato la staccionata e si è proposto di stare dalla parte della politica – vedi l’onorevole Patriarca – facendosi selfie con il non profit, mantenendo una chiappa di qua (Istituto Italiano della Donazione, Centro Nazionale del Volontariato) e una chiappa di là (deputato).

Uno strumento nuovo con persone nuove. In fondo, non era questo il senso della rottamazione?

Altra questione. Il non profit ha più lavoratori di interi settori del profit, fa muovere ogni giorno milioni di volontari, ha un peso economico crescente anche in periodi di crisi. Varrà la pena – dato che basa gran parte della sua azione sulla preservazione della fede pubblica – farlo vigilare da un soggetto dedicato e non dall’ennesima Direzione – di norma poco considerata – di un Ministero.

Ma poi, pensateci bene, cari componenti della XII Commissione. Una authority indipendente che possa vigilare anche su federazioni sportive, fondazioni costituite da politici, associazioni collaterali a partiti e movimenti … non sarebbe tutto bellissimo?

Ah … dite che è questo il problema (o almeno uno dei problemi)?

OK, fate come se non avessi detto nulla.

Carlo Mazzini

Questo il testo dell’emendamento Lenzi

2-bis  (Vigilanza, monitoraggio e controllo).
1. Le funzioni di vigilanza, monitoraggio e controllo sugli enti del Terzo settore, ivi comprese le imprese sociali di cui all’articolo 4, e sulle relative attività, finalizzate a garantire l’uniforme e corretta osservanza della disciplina legislativa, statutaria e regolamentare ed essi applicabile, sono esercitate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in collaborazione per quanto di competenza con i ministeri interessati e con l’Agenzia delle entrate, ferme restando le funzioni di coordinamento e di indirizzo di cui all’articolo 2-ter, lettera n). Nello svolgimento di tali funzioni, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali individua modalità di coinvolgimento e raccordo anche con le strutture di cui all’articolo 3, comma 1, lettera f).
2. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nell’ambito delle attività di cui al comma 1, promuove l’adozione di adeguate forme di autocontrollo degli enti del Terzo settore, anche attraverso l’utilizzo di strumenti atti a garantire la più ampia trasparenza e conoscibilità delle attività svolte dagli enti medesimi, sulla base di apposite convenzioni stipulate con gli organismi maggiormente rappresentativi degli enti stessi o con le strutture di cui all’articolo 3, comma 1, lettera e).

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