Riforma del non profit: sull’Authority i fatti danno torto a Bobba

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Venerdì pomeriggio alcune organizzazioni di Milano hanno incontrato il sottosegretario Bobba in merito alle linee guida della riforma del Terzo Settore.

Certo, era il 13 giugno, ultimo giorno per presentare al Ministero le proprie considerazioni sulle linee guida, ma gli organizzatori – Ciessevi e Forum terzo Settore Città di Milano – hanno inteso proporre questo incontro come punto di partenza, e non di arrivo.
Ero presente anch’io all’incontro, nel quale sono stati invitate associazioni e politici (e purtroppo questi ultimi hanno accolto l’invito).
Ad un certo punto sono intervenuto su un argomento usato ed abusato in queste pagine, ovvero il fatto che risulterebbe sommamente utile un unico registro che riunisca tutti gli albi, registri, anagrafi ecc. E già che ci siamo facciamolo gestire da un ente unico (un’Authority o qualcosa di simile).
Cito la Charity Commission come esempio preclaro.
Il sottosegretario risponde cortesemente a tutte le questioni, iniziando con un prologo su come si è arrivati alla proposta, alla consultazione, sul senso generale, ed altri emozionanti argomenti, leggermente triti e ritriti. Quando un politico ripete cose già risapute, mi viene il sospetto che stia menando il can per l’aia, ma comunque ..
In merito all’unico registro – che raccolga quelli disseminati in tante, troppe amministrazioni pubbliche – dice che tutti fanno sempre riferimento alla authority inglese, ma che nessuno dice che la Charity Commission ha 300 dipendenti e che se lui portasse una proposta di questo genere al Ministero dell’Economia non gliela accetterebbero perché sarebbe un ulteriore costo e in questo periodo …
Non ero a casa mia, non eravamo ad un dibattito nel quale si potesse controbattere.
Mi sembra giusto però rispondere ora ad una argomentazione che è solo l’ombra del buon senso, ma che rappresenta il classico modo di confondere le acque.
Cerco di mettere assieme alcuni argomenti che confutino quanto asserito dal sottosegretario; così che almeno si possa parlare sulla base di fatti e non di sensazioni, di “sentito dire”.
Nella Charity Commission inglese lavorano 305 persone impiegate a tempo pieno. Il costo totale della Charity Commission è di circa 32 milioni di euro. (qui l’ultimo Report annuale)
Non so quanto valga il non profit inglese (in entrate). Ipotizziamo che il costo di un’Authority italiana possa essere equivalente, pari a 32 milioni di euro: rappresenterebbe il 5 per 10.000 delle entrate (dati Istat 2011) del non profit.
Lasciamo un attimo questo dato in sospeso.
Chiediamoci quanto costa oggi allo Stato e alla pubblica amministrazione gestire la pratica “non profit”.
Ahimè, non lo sappiamo.
Cerchiamo allora di capire quanti dipendenti pubblici seguono le non profit, per registri ecc.
Ci sono ben più di 300 amministrazioni interessate al controllo diretto del non profit: Prefetture, Regioni, Province (non tutte), Ministeri, ASL.
Stiamo bassi: sono 300. Vogliamo essere stretti anche nelle risorse umane e ritenere che in ogni amministrazione siano dedicate due risorse e mezzo per il non profit. Due di gestione diretta e un’altra dirigenziale per metà tempo (fa anche dell’altro, ha altre responsabilità).
Stiamo parlando di più di 700 dipendenti pubblici che gestiscono i diversi registri, con tutte le incongruenze che conosciamo. Ad esempio, se si passa il confine di una provincia, ci si sente chiedere un diverso capitale minimo per costituire un ente riconosciuto (fondo di dotazione). Si va da 10mila euro a 120mila euro, senza alcuna ragione, solo perché il Prefetto quel mattino ha ritenuto che per la sicurezza dei creditori sia necessario mettere da parte tante risorse (non utilizzabili dall’ente); tanto non sono mica soldi del Prefetto!
Lo spreco è quindi doppio: troppi dipendenti pubblici (più di 700 contro 300 della Ch Commission) e regole differenti che nulla hanno a che fare con l’indipendenza di giudizio del decisore pubblico.
Unico registro, unico ente
Torniamo all’ipotesi dell’unico ente. Le ragioni per avere un unico ente che regola l’accesso ai registri, indaga, controlla il non profit sono davvero moltissime.
– evitare differenti trattamenti a parità di attività realizzata (condizioni di iscrivibilità o di mantenimento nei registri)
– avere personale competente (dico poco!)
– avere un soggetto presso il quale chiedere informazioni sugli enti
– avere in tempo reale dati economici essenziali in merito al non profit (basta con i censimenti ogni 10 anni, che vuol dire avere dati inaffidabili perché non attuali per 9 anni!!!)
– dare sicurezza ai donatori
– dare sicurezza ia soci (sui loro veri diritti)
– dare sicurezza agli amministratori (su come si gestisce correttamente un ente, su cosa si può, su cosa non si può fare)
– dare sicurezza alle amministrazioni pubbliche.
Quanto vale questa sicurezza? Quanto vale far crescere un non profit controllato con competenza?
Ora torniamo al “5 per 10.000”
Chiedo: cari politici: ritenete spendibile politicamente verso i cittadini il ragionamento secondo il quale per ogni 2000 euro di entrate nel non profit, l’amministrazione pubblica spende 1 euro per avere tutte quelle sicurezze?
Io credo che sarebbe un argomento spendibile, altro che!
La situazione attuale – come detto – vede tutt’altra situazione.
Per un costo incerto – che ritengo superiore ai 32mln di euro, in quanto mediamente guadagnerebbero 35.000 euro all’anno i dipendenti pubblici italiani (dati 2012), ma non si tratta del costo per lo Stato che è ben maggiore – si hanno nell’ordine:
– differenti trattamenti a parità di attività realizzata
– personale mediamente poco competente (le eccezioni vengono viste dal non profit come veri e propri Messia!)
– non avere risposte esaurienti sulle non profit iscritte ai registri (per “esaurienti” si va da sapere se un ente è iscritto a chiedere chi gestisce l’ente)
– nessun dato economico
– donatori, soci, amministratori e pubbliche amministrazioni lasciati a se stessi
Meglio spendere bene e un dato certo ed avere ottimi servizi o spendere male con un dato incerto e avere servizi spesso pessimi?
Quindi, Onorevole Bobba. Se alla Ragioneria dello Stato le dicono che 300 impiegati per un’Authority sono troppi, faccia presente che ora sono almeno 700!

Authority autonoma o “aumma aumma”?
Un ultimo appunto: anche nella riunione di venerdì si è parlato – ne ha fatto accenno anche l’ineffabile Bobba – di autoregolamentazione del non profit, di avere, in luogo di un’Authority, un sistema alla stregua di quello delle cooperative, che hanno nelle cd centrali cooperative i propri controllori. Dal sito del Ministero dello Sviluppo Economico:
“L’attività di vigilanza è volta a garantire la trasparenza nella gestione ed il corretto funzionamento amministrativo della cooperativa, oltre che ad assicurare che le società e gli enti che si definiscono “mutualistici”, perseguano effettivamente tali finalità. E’ inoltre preposta al monitoraggio della situazione economica e gestionale della cooperativa, con compiti di verifica nella corretta tenuta della contabilità e nella regolarità rispetto alle norme di legge e a quelle straordinarie. La competenza in materia di vigilanza e provvedimenti “sanzionatori” si esplica nel versante societario escludendo il profilo lavorisitico e quello fiscale in senso stretto.”
Non sono convinto che affidare a sovrastrutture di secondo / terzo livello le funzioni del controllo sia il modo migliore per avere un buon servizio (che per il non profit non si riduce di certo agli aspetti economici!).
Qual è – per il non profit – il rischio “aumma aumma”, la copertura con abbondanti fette di salame sulle storture piccole e grandi, solo perché l’associazione oggetto dell’indagine fa parte di una grande aggregazione molto potente soprattutto politicamente?
Rischio? Ma che dico rischio. Certezza!
Vogliamo per una volta ristabilire il concetto di terzietà?
Di indipendenza?
Di divisione dei compiti?
Vogliamo per una volta fare le persone serie?
Forse non sapete che all’art 6, c 2 del DPCM 329/01 (che istituiva la sfortuna Agenzia per le Onlus) si leggeva
“… I quattro componenti sono  scelti  tra  persone  alle  quali siano riconosciute elevate  competenze  ed  esperienza  professionale nelle discipline giuridiche ed economico-sociali  o  nel  settore  di attivita’  degli  enti  ed  organizzazioni  controllati.  A  pena  di decadenza essi non possono  avere  interessi  diretti  o  stabilmente collegati  negli  enti  e  organizzazioni   soggetti   al   controllo dell’Agenzia.”
E che nonostante ciò, la prima consiliatura della fu Agenzia chiese un parere pro-veritate che nella sostanza riduceva un imperativo categorico (non potevano avere interessi diretti!!!) in una barzelletta.
Non ci credete?
Leggete dopo la mia firma l’estratto della delibera del Consiglio dell’Agenzia, preso dalla Relazione annuale 2002 (pagg 40 – 41).
E chiedetevi se non sia il caso di cambiare davvero “verso”.
Altro che controllori amici e sodali dei controllati!
Carlo Mazzini
Relazione annuale 2002 (pagg 40 – 41) – Agenzia per le Onlus
«Il Consiglio ritiene che alla incompiuta assimilazione dell’Agenzia ad altre autorità indipendenti
consegua l’inesistenza di una puntuale disciplina normativa delle situazioni di incompatibilità,
contrariamente a quanto disposto per altri organismi anch’essi non compiutamente assimilabili
alle autorità indipendenti ma altresì compatibili ad Agenzie od enti di più o meno diretta subordinazione
con l’autorità governativa. La disciplina di cui all’articolo 6 del D.P.C.M. 21.3.2001
n. 329 non consente l’individuazione di specifiche situazioni di incompatibilità aventi carattere
generale, limitandosi bensì a prevedere una generica incompatibilità derivante da eventuali interessi
diretti o stabilmente collegati negli enti e organizzazioni soggetti al controllo dell’Agenzia.
Ciò si comprende in relazione agli stessi poteri attribuiti all’Agenzia tali da non caratterizzarla
come organo di vero e proprio controllo diretto, capace di incidere direttamente, bensì semplicemente
come organo di indirizzo, promozione, vigilanza e ispezione per conto dell’autorità
governativa. Il Consiglio ritiene quindi opportuno formulare l’interpretazione del precetto normativo
“avere interessi diretti o stabilmente collegati negli enti e organizzazioni soggetti al controllo
dell’Agenzia”, con riferimento a principi di carattere generale desumibili dall’ordinamento
oggi vigente. Configura, pertanto, interesse diretto l’esercizio di compiti di presidenza, direzione
o amministrazione di enti od organizzazioni soggetti al controllo dell’Agenzia, con attribuzione
di funzioni di rappresentanza negoziale e processuale e di responsabilità di natura patrimoniale
personale in relazione alle obbligazioni contratte dall’ente od organizzazione nonché di
responsabilità verso i medesimi per danni derivanti da inosservanza dei doveri di diligente
amministratore e con possibilità di applicazione di sanzioni amministrative per violazioni di
norme tributarie o per altri illeciti commessi nell’esercizio delle proprie incombenze. Per quanto
concerne poi la mera qualità di Consigliere di amministrazione di enti od organizzazioni soggetti
al controllo dell’Agenzia, nell’ipotesi di delega di attribuzioni ad un comitato esecutivo o
ad un amministratore delegato, la valutazione dell’incompatibilità atterrà alla quantità e natura
delle attribuzioni delegate, allo scopo di accertare un sostanziale trasferimento di compiti di
amministrazione dal consiglio di amministrazione all’organo collegiale o monocratico delegato.
Così pure il mancato riferimento dell’art. 6 del DPCM n. 329 del 2001 ad interessi “indiretti”,
fa si che non dia luogo ad incompatibilità la sussistenza di vincoli di solidarietà familiare con
persone che abbiano interessi diretti in enti od organizzazioni soggetti al controllo dell’Agenzia
ovvero l’occasionale prestazione di attività professionale o di servizi di consulenza a beneficio
di tali enti od organizzazioni. Integra, altresì “interesse stabilmente collegato” un rapporto di
lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa con ente od organizzazione
soggetto al controllo dell’Agenzia, escludendosi nel contempo che la semplice qualità di socio
di un ente o di un’organizzazione soggetti al controllo della medesima comporti incompatibili-
tà. Il Consiglio ritiene inoltre che discorso a parte va fatto per quanto concerne coloro che rico-
prono cariche presso Fondazioni di origine bancarie. A questo proposito ritiene che, conformemente
all’interpretazione unanimemente accolta, tali Fondazioni, pur configurandosi come enti
non commerciali, non rientrino nell’ambito di intervento dell’Agenzia in quanto, da un lato, l’articolo
3, comma 189, lettera a) della legge 23.12.1996 n. 662 esclude testualmente le Fondazioni
bancarie dal regime delle ONLUS e, dall’altro, lo stesso D.Lgs. 17.5.1999 n. 153, recante la
disciplina civilistica e fiscale degli enti conferenti (ovvero le Fondazioni di origine bancaria),
all’articolo 10, testualmente prevede che fino all’entrata in vigore della nuova disciplina dell’autorità
di controllo sulle persone giuridiche di cui al titolo II° del libro I° del codice civile, ed
anche successivamente, finché ciascuna Fondazione rimarrà titolare di partecipazione di controllo,
diretto o indiretto, in società bancarie ovvero concorrerà al controllo, diretto o indiretto, di dette società attraverso la partecipazione a patti di sindacato o accordi di qualunque tipo, la vigilanza sulle Fondazioni è attribuita al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.
Da ultimo il Consiglio ritiene che le ipotizzate situazioni di incompatibilità dovranno essere verificate in relazione alle singole posizioni dei diversi componenti l’Agenzia, e siano applicabili esclusivamente in relazione alla concreta operatività delle cariche determinanti incompatibilità stessa, vale a dire soltanto in ragione del concreto conflitto di interessi determinatesi al riguardo.
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