Cosa emendare della Riforma del Terzo Settore?

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Riforma III settore: a che punto eravamo rimasti? Ieri (18.6), la I commissione del Senato ha stabilito che la data ultima per presentare emendamenti è il 9 luglio (ore 15, per la precisione). Gli emendamenti saranno presentati dai senatori, ma mi chiedo se il non profit abbia una qualche valida ragione per suggerire delle modifiche a quel testo uscito dalla Camera tra gridolini di soddisfazione dei tanti deputati “amici del non profit”.

Partiamo dal primo assunto: questa legge regolerà il non profit per i prossimi 20 anni, a star stretti. Quindi sì, se ci fosse anche solo una virgola da spostare, perché non proporlo?

In realtà sappiamo benissimo che c’è da riformulare qualcosa di più della punteggiatura. Qui di seguito presento alcune proposte, un po’ alla rinfusa, nella speranza che a qualcuno possa interessare e ci ragioni su, sussurrando suggerimenti a chi di dovere.

Definiamo davvero gli enti del terzo settore: all’art 1, c 1 del ddl si legge

Per Terzo settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche e solidaristiche e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività d’interesse generale anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale nonché attraverso forme di mutualità. Non fanno parte del Terzo settore le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati e le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche.

L’associazione scacchisti di Merate ne fa parte? I DTTP – Deltaplanisti Tristi del Tavoliere delle Puglie – possono fregiarsi del titolo di enti del Terzo Settore? Qui si dicono tante cose, confusamente, e non si sa bene chi potrà far parte di questo rassemblement. Ad esempio: cosa sono le “attività d’interesse generale”? Cosa sono i beni e servizi di utilità sociale? Una definizione che non definisca bene è già una falsa partenza. E poi: perché i sindacati e le associazioni politiche non fanno parte del Terzo Settore? Pensateci bene: c’è un primo settore (no, non ne fanno parte). C’è un secondo settore (manco lì ci stanno). Terzo settore: no qui viene negata l’appartenenza. Come inquadrare queste formazioni che, comunque la pensiate, sono citate direttamente nella Costituzione e non nella lista della spesa? E ancora: in realtà non si parla di partiti politici ma di associazioni politiche? Ma se io voglio costituire un’associazione politica, che influenzi la vita politica del paese senza candidare nessuno dei miei sodali? Davvero non faccio parte del Terzo settore? Infine, se si parla di enti senza scopo di lucro, che c’azzecca l’impresa sociale formulata in low profit nel prosieguo del ddl? Low profit non è assenza di scopo di lucro, ma presenza di “lucro basso”.

L’impresa sociale porta sfiga: questo mio alto pensiero l’ho già riportato tempo fa, e ne sono sempre più convinto. Io ridarei dignità all’impresa sociale togliendola totalmente dal ddl e proporrei un disegno di legge (non delega) che peraltro correrebbe più velocemente. Dopo ampia discussione, una volta inteso a cosa si pensa che possa servire l’IS, quale tipo di low profit si abbia in mente (avete notato? nessuno lo dice! E’ sull’investimento? Sugli utili? Quale cap imporre?), l’IS risorgerebbe dalle ceneri velocemente. Faccio notare che tutta l’attenzione mediatica sul ddl è stata attratta da questo tema, e nessuno parla delle onlus, della loro fiscalità, delle modifiche sul codice civile, del destino del volontariato. Tenendo conto che volontariato, onlus ecc battono Impresa sociale 500 a 1 (in numerosità e certamente anche in “trasformazione sociale” reale, attuale e verificabile oggi, non sognata per domani) forse è meglio toglierci dai cabasisi questa iattura.

Servizio civile universale: è un argomento rilevante, va bene. Ma è anch’esso un corpo estraneo. Fate un disegno di legge, non mischiate l’acqua col vino.

Citare le leggi: che sia una riforma, una revisione, una riorganizzazione o cos’altro – ad oggi non si è ancora capito – fateci la cortesia di citare le leggi che volete modificare o abrogare con i decreti legislativi. Non si è mai vista una legge delega che parla così tanto di aria fritta senza porre le basi su un canovaccio di norme esistenti.

5 per mille senta tetto: come già scritto più volte, dato che fino ad oggi lo Stato ha fregato alle non profit 500 milioni con la scusa del tetto, sarebbe utile andare oltre la frase “in base alle scelte espresse dai contribuenti” già peraltro  espressa nei 5 per mille mutilati e, facendosi coraggio, alzare il tetto a 600 milioni (sveglia! 500 non bastano!!!), affermando il principio secondo il quale comunque il legislatore non potrà tagliare il 5 per mille per ragioni di bilancio.

Authority sì, Ministero no: molti senatori intervenuti nella discussione generale hanno stigmatizzato il fatto che nel testo uscito dalla Camera i compiti di vigilanza fossero attribuiti al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Cogliamo la palla al balzo e spingiamo a chiedere un’Authority. Ho già esposto come questo organismo costerebbe meno questo ente rispetto alle centinaia di dipendenti pubblici (600 a mio avviso) che ad oggi – con alterne fortune e competenze – seguono e dettano legge sulle questioni degli enti registrati, riconosciuti, anagrafati ecc.

Fisco agevolato: qui bisogna intervenire in una direzione propriamente politica. I senatori dovrebbero fare ciò che i deputati non hanno fatto. Bisogna stilare una classifica tra i “più buoni”. Mi spiego. Ogni sistema premiale (in questo caso del non profit) parte dal concetto che il premio in “fiscalità leggera” viene dato a chi più se lo merita. Ad oggi, nel ddl, questo premio non viene dato a nessun tipo di organismo. Pertanto, tutti caballeros, tutti generali! Il problema è che se anche nella definizione non si va a stabilire una scala di valori morali / politici (gratuità delle prestazioni in certi casi, gratuità del volontariato, tipologia di soggetti aiutati ecc) non si riuscirà a scrivere una norma fiscale degna di questo nome. L’egualitarismo nella fiscalità del non profit sarebbe una iattura. Prestate attenzione, voi che leggete. E’ questo il vero “merdone” (scusate l’eufemismo) che nessuno vuole pestare, ma che è necessario che venga pestato. Aggiungo anche che bisognerebbe capire se nella riformulazione e semplificazione della fiscalità del non profit (materia così complessa da far tremare i polsi) si ritiene che si vada a spendere qualcosa oppure a risparmiare qualcosa. In periodo di spending review, con l’aumento dell’IVA che incombe a gennaio 2016 per altri risparmi non conseguiti, mi sembrerebbe rilevante capire se si faranno le nozze con i fichi secchi oppure no. Bisognerebbe iniziare con la revisione delle tabelle Vieri Ceriani (Tax expenditures) e ragionare sui nuovi numeri, dei quali peraltro chiederemmo un maggior dettaglio. Ad oggi questa analisi non è stata fatta né richiestaal Governo. E dire che ne avrebbe tutto l’interesse!!!

Ultimo tema: BASTA RETORICA!

Davvero, non ne possiamo più di incontri nei quali si esalta l’importanza del terzo settore, le magnifiche sorti e progressive (Leopardi docet) dell’impresa sociale, e banalità elencando. Qui bisogna andar sul concreto, perché i cittadini e le non profit si misurano ogni giorno con problemi concreti. E il 60% dei problemi deriva dagli ostacoli burocratici legislativi accumulati negli anni.

Senatori: andate sul concreto, approdate alle nostre coste, non veleggiate in alto mare.

Carlo Mazzini

 

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