Ciò che manca al nuovo modello Intra-12

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E’ stato annunciato ieri, 25 agosto, il restyling del modello INTRA-12 probabilmente sconosciuto a chi non pratica il mondo del terzo settore e degli agricoltori esonerati ma che acquistano beni e servizi nel mercato intracomunitario oppure presso soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato, per un importo annuo superiore ai 10.000 EUR.

La principale novità che si riscontra è il differimento del termine di presentazione:

  • sino al 30/09/2015 la dichiarazione si riferirà alle operazioni di acquisto registrate nel mese precedente;
  • dal 1° ottobre 2015 la dichiarazione si riferirà alle fatture ricevute il secondo mese precedente a quello di presentazione della dichiarazione.

C’è perciò uno spostamento del termine dichiarativo: nel precedente regime si dichiarava quanto registrato nel mese precedente; nel nuovo regime a dettare i tempi sarà il momento di ricevimento della fattura. A meno di aver preso lucciole per lanterne, entro il 30 settembre prossimo andranno dichiarate le operazioni registrate entro il 31/08/2015, mentre le fatture ricevute entro il 30/09/2015 andranno dichiarate entro il 30 novembre e, dal momento che la dichiarazione va di pari passo con il versamento dell’imposta, per il mese di ottobre 2015 non ci saranno versamenti.

Dal modello sparisce la casella relativa al codice dell’ufficio di riferimento, divenuta anacronistica in virtù del fatto che essendo la dichiarazione telematica, questa viene direttamente acquisita dal sistema informatico dell’Agenzia delle Entrate.

Non è invece chiaro cosa accadrà per gli acquisti intracomunitari delle Ong.
Nella versione attuale del software, messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, c’è un baco che non è mai stato sistemato. Posto infatti che le Ong possono acquistare beni anche nel mercato intracomunitario, destinati ad essere esportati verso i Paesi in via di sviluppo e quindi senza applicazione dell’IVA, e che tali operazioni vanno indicate nella sezione “Acquisti” casella 1, l’attuale versione del modello non accetta una dichiarazione a versamento zero.
In altri termini se la Ong, nel mese di riferimento, ha effettuato esclusivamente operazioni di acquisto di beni destinati ai Paesi in via di sviluppo e quindi non deve versare imposta, è obbligata ad indicare un numero farlocco (es. 1) nella casella versamento, così come nella data di versamento deve essere inserita una data valida.

Ci sono poi alcune questioni in sospeso e non adeguatamente risolte. Per esempio la possibilità di presentare una dichiarazione integrativa/rettificativa/sostitutiva per operazioni che non sono state inserite nella dichiarazione relativa al corretto periodo di riferimento o che, in seguito, sono venute meno in tutto o in parte (es. ricevimento di note di credito). Trattandosi infatti di una dichiarazione e non di una comunicazione, è pacifico che la dichiarazione sia emendabile entro i normali termini stabiliti per tutte le dichiarazioni fiscali, salvo l’applicazione di sanzioni e dell’istituto del ravvedimento operoso.

Al momento non è neppure chiaro se, per esempio, dovendo inserire una nuova operazione si debba ripresentare una dichiarazione “incrementale” (che comprende cioè solo la nuova operazione) o una dichiarazione ex novo e che perciò comprenda sia le operazioni già dichiarate che le nuove.

Altro punto su cui sarebbe interessante un chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate è se il limite di traffico posto attualmente per l’utilizzo del regime ordinario è riferito all’insieme del traffico intracomunitario e quindi beni più servizi o esclusivamente ai soli beni.

Anche nelle nuove istruzioni ci si riferisce al volume di acquisto di beni che deve essere superiore ai 10.000 euro/anno, limite peraltro rinvenibile nell’art. 38, comma 5, lettera c), d.l. 331/93.

Il tenore letterale della norma induce a considerare nel computo esclusivamente i beni, escludendo i servizi, il che porterebbe alla per nulla remota possibilità che ci siano enti non commerciali che, sviluppando solo traffico di servizi oltre il limite previsto, debbano ricorrere al regime derogatorio, pagando l’IVA al fornitore intracomunitario, nel paese di origine, e non in quello di utilizzo come invece dovrebbe essere. E’ una situazione certamente disomogenea e tutt’altro che infrequente: software, prestazioni di consulenza e quant’altro sono alla portata di un click del proprio notebook e/o smartphone molto più che nel 1993.

Infine, ma non per importanza, sarebbe opportuno istituire un apposito codice tributo per i versamenti dovuti per queste operazioni aggiungendo nel campo “mese di riferimento” il mese a cui il versamento è riferito.
Al momento si deve utilizzare il codice IVA 6099 che corrisponde al versamento dell’IVA annuale e che non ha alcun senso, visto che i soggetti interessati potrebbero anche avere la necessità di versare l’IVA annuale per effetto di operazioni ordinarie derivanti, per gli enti non commerciali, da attività commerciali e, a parte, l’IVA derivante da operazioni intracomunitarie istituzionali.

Sui punti posti all’attenzione, sarebbe perciò opportuno un intervento chiarificatore dell’Agenzia delle Entrate che probabilmente finora ha ritenuto non particolarmente interessante la questione.

Gianpaolo Concari

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