Le parole che sarebbe stato meglio non dire

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Nel non profit va di moda la moda. Non quella degli stilisti, ma la moda delle parole, delle espressioni.

Tutti riportano un termine “alla moda”, che fa figo, e anche tu sei lì che nella conversazione con i colleghi non puoi esimerti dal riprendere quell’espressione che fa tanto “io so di cosa parlo”.

Espressioni non tecniche, spesso di senso comune, ma che per la pervicacia con la quale vengono ripetute diventano nelle intenzioni persuasive, ma negli effetti irritanti anche perché (appunto) ripetute ad ogni piè sospinto, fatalmente fuori luogo.
Oppure parole tecniche che provengono da una disciplina particolare e inserite artatamente in altri contesti.
In entrambi i casi ci troviamo davanti ad un’incapacità di qualcuno di spiegare fenomeni se non esprimendosi con termini “totem” che alla loro solo espressione vedono piegarsi in preghiera gli astanti.
Già parlai dell’impatto sociale e di come un concetto non banale e da studiare e applicare con prudenza venga appiccicato in ogni articolo o titolo da chi ha poco o nulla da dire (sarò buono e aggiungo “a volte”).
Di seguito riporto alcuni termini con tre premesse.
Prima. Uso anch’io qualcuna di queste espressioni, ma di solito poi mi scuso.

Seconda: ho redatto la lista con l’aiuto incolpevole di alcuni amici che nel corso di qualche convegno avrebbero preferito farsi massacrare da Igor il russo piuttosto che continuare a sentire certe espressioni.

Terza premessa: non spiego il significato, ma la ragione per la quale queste espressioni sono a volte irritanti se “fuori luogo”.

Resilienza: di derivazione psicologica e sociologica, ormai ci troviamo la R anche nell’insalata. E io odio l’insalata. Il concetto è interessante (la resilienza, non l’insalata) ma è statisticamente impossibile che siate diventati tutti resilienti, anche perché spesso vi state sulle balle vicendevolmente e lo date ampiamente a vedere.
Empowerment: dire “potenziamento” o simili faceva brutto?
Rigeneratività o rigenerativo: associato a welfare, di primo acchito sembra che si vada a produrre una schiera di figli, poi si capisce che si parla di aria pestata nel mortaio. L’aria è sempre quella, ma il mortaio è bello.
Pesce (la metafora): “insegniamo a pescare, non diamo il pesce”. Risposta ottimistica al famoso detto: “meglio un uovo oggi che una gallina domani” Comunque, al prossimo che la usa tiro un pesce in faccia e poi gli consegno una canna da pesca!
Condiviso: il concetto è bello (come molti) ma non puoi metterlo ovunque, dai. Poi lo sappiamo che si fa come cavolo vuoi tu e che al massimo condividi la foto dei gattini su Facebook.
Vision: di recente lo sto usando anch’io (è una confessione), perché in un momento nel quale non sappiamo immaginarci il domani, suggerire una vision è già un passo in avanti. Ma mettere ‘sta vision ovunque fa di tutti noi dei visionari; non tanto credibili, ecco.
Trasparenza: chi è contro la trasparenza? Chi può dirsi contro la trasparenza? Nessuno, a parte i partiti politici (e di norma vengono da lì le geremiadi sulla poca trasparenza del non profit, conclamato caso del bue che dà del cornuto all’asino) e organizzazioni che non pubblicano sui loro siti i bilanci dall’epoca fenicia.
Fare bene il bene: orticaria pura! Amici giornalisti: evitate titoli con questa banalità, fatelo per voi oltre che per la nostra modesta intelligenza. Anche perché altrimenti dovreste tirare fuori i nomi di chi fa male il bene. O chi, tra i disonesti, fa bene il male. O, ancora, il caso delle cosche mafiose perdenti che evidentemente fanno male il male.
Dar voce a chi non ha voce: ma se uno non parla i casi sono due: o è afono, o non ha nulla da dire. E tu vuoi anche parlare in vece sua? Per una volta che qualcuno se ne sta zitto!!!
Fare rete: goal!
Bottom down: qualcuno lo confonde con le camicie button down.
Abilitante: alla guida?

Finiamo con due evergreen.
Spese molto basse: va di pari passo con “tutto ciò che donate va ai poveri, alla causa”. Che cazzo ci state a fare allora, voi del non profit, se non sapete moltiplicare le opportunità che i sostenitori – con le donazioni – vi danno? E’ come dire che il rapporto sostenitore / ente si riduce ai soldi e che l’ente fa un mero trasferimento degli stessi. Tornate a studiare e cercate di capire come funziona davvero un ente e soprattutto perché.
La beneficenza si fa, non si comunica (detto da organizzazione che comunica ogni santo giorno): ecco, bravo. Falla, e non ci rompere con il mailing, con le letterine strappalacrime, con la tua presenza in ogni convegno, in ogni articolo a dispensare stupidaggini come queste.

Io, i puri, me li mangio a colazione.

Se volete allungare la lista, fatelo sui social!

Pagina facebook di quinonprofit

Carlo Mazzini

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