Donazioni: la linea del Piave per il non profit

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In tema di legge di stabilità, i relatori della commissione referente (Camera) hanno concordato con il Governo una riscrittura della legge di stabilità sulla parte sociale; no alla retroattività, no alla diminuzione IRPEF e altro ancora.
Tutta la parte “sociale” è rilevante per il non profit.
Ma per questo sito, la parte più importante è il rischio rappresentato dalla franchigia alle deduzioni / detrazioni sulle donazioni, oltre al tetto per le detrazioni e di questo ragioniamo.
Il Governo si sarebbe impegnato a riscrivere anche questa parte di disegno di legge, togliendo franchigia e tetto a certe spese / oneri, probabilmente non alle donazioni, vincolando l’assenza di franchigia – e il pieno godimento del risparmio fiscale – alla percezione di un reddito inferiore ad un “tot”. Ha però posto una condizione: i saldi finali non devono cambiare.
C’è una linea del Piave che il non profit dovrebbe tenere su questo aspetto?
Io ne suggerisco una, che sottopongo a due principi di natura etica.
Primo principio: nessuna franchigia per le donazioni.
Lo abbiamo già detto; mettere la franchigia significa mettere a rischio la propensione a donare della gente. Per capirci, non è che il dono abbia in sé una componente soprattutto egoistica di aspettativa a pagare meno imposte, ma il fatto di sapere che non c’è più risparmio, toglie l’appealing al gesto, e rischia fortemente di ridurne l’ammontare.
Prova ne è che secondo un’indagine dell’Istituto Italiano della Donazione – condotta con Gfk Eurisko nel 2011 – la donazione media degli italiani (senza distinzione tra erogazioni portate o meno a risparmio in dichiarazione) è di 142 euro; secondo i dati del Ministero i valori medi delle donazioni portate in detrazione e in deduzione sono molto più alti: in detrazione 210 euro (+50% rispetto alla media generale delle donazioni), in deduzione 323 euro (+127%).
Ma mancano soldi, dice il Governo.
Qui entra in gioco il secondo principio: ognuno faccia responsabilmente il proprio dovere.
Io faccio il fiscalista, tu sei un amministratore di ente non profit, quelli sugli alti scranni fanno il Ministro dell’Economia, il sottosegretario, il deputato ecc. Se questi dicono che il saldo finale non deve cambiare, sappiano che se lo dicono tra loro. Io non mi sento responsabile della situazione attuale, e pur pensando che è buona amministrazione fare in modo che in una legge finanziaria si vada ad avere i saldi invariati, penso anche che è un problema loro fare in modo che non varino i saldi.
In un eccesso di megalomania, io posso – nel mio piccolissimo – suggerire un’ipotesi per recuperare parte dei soldi perso con l’assenza della franchigia alle donazioni. Anche l’amministratore di ente non profit ne può immaginare un’altra. Poi la decisione – responsabile, cioè ne deve rispondere – è di altri, del Ministro, del sottosegretario ecc.
La mia proposta.
Dato che a voler essere generosi – come detto qui – sarebbero 100 i milioni recuperati con la franchigia sulle donazioni, dove trovarne altrettanti per evitare che il Governo la mantenga?
Secondo la Relazione finale del Gruppo di Lavoro sull’erosione fiscale, il dimezzamento dell’IRES per le attività commerciali di fondazioni, IACP, istituti di istruzione ecc, ammonta (costa allo Stato) 168,60 milioni (DPR 601/73, art 6).
Invece di ridurre al 50% l’aliquota IRES (da 27,5% a 13,75% come è ora), riduciamola solo di un quinto (così che l’aliquota passi al 22%).
Ed ecco comparire circa 100 milioni (104 per la precisione).
Il peso per ognuna delle oltre 13mila istituzioni che oggi beneficiano della legge sarebbe di circa 7.300 euro; mi appare sopportabile per enti comunque di grandi dimensioni.
Direte: ma quegli enti – ci sono anche enti ecclesiastici ecc – sono un potere forte.
Di nuovo: è un problema del Governo saper argomentare ai poteri forti una stretta sull’imposizione.
Certo, è molto più semplice tassare le donazioni, fregare il 5 per mille e non rispondere nulla.
E’ molto più facile ma è anche molto più meschino.
Carlo Mazzini
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