Nuova vita per l’impresa sociale? Per ora no

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metDell’Impresa sociale intesa come idea in sè non se ne può parlare che bene.

Direi che tutte le organizzazioni che incontro arrivano ad un certo punto al redde rationem, a chiedermi: “voglio vendere qualcosa, come faccio a superare la vendita occasionale e mettere su un negozio, un’attività continuativa?”

Proprio perché questa domanda è legittima, ha bisogno di una risposta articolata, che ovviamente qui non do.

Qui mi interessa parlare dell’Impresa Sociale di cui al D Lgs 155/06; di quell’impresa sociale non se ne può che parlare male, anzi malissimo.

L’inferno è lastricato di buone intenzioni, e non basta l’intenzione di inserire una nuova rivoluzionaria idea di impresa per poi vederla operare nel concreto e con successo.

Chi ha ideato e scritto l’articolato del D Lgs 155/06 deve esser stato preso da un attacco di deficientite acuta, di ignoranza del senso comune.

Nessuno al mondo può solo pensare – neppure lontanamente – che l’impresa sociale di cui alla legge possa funzionare se

– le si mettono maggiori obblighi rispetto a normali imprese

– non le si dia alcun vantaggio fiscale (Tremonti era contrario e allora si è fatta uscire una norma evirata pur di dire “Habemus impresam socialem”)

– si prenda in giro tutti dicendo che una onlus può essere IS (fatto eccezione il caso ovvio delle coop sociali)

– non si consenta all’impresa sociale di dividere gli utili, magari in una misura minima, calmierata.

Come potevano credere – gli inventori di questo porcellum del non profit – che sarebbero arrivati i soldi da investitori “terzi” rispetto al non profit? Se io fossi un riccastro e mi venisse proposto un investimento in un’attività produttiva (sociale, certo, ma in primis produttiva), chiederei (a me stesso e al proponente) quanto mi ritorna. Con l’Impresa sociale non ritorna nulla, dato il divieto di dividere gli utili. Ma come – dico io nelle mentite spoglie di riccastro – ma se volevo fare beneficenza mi facevo una fondazione o donavo i soldi ad altro ente!!! Se parliamo di impresa c’è un concetto di divisione del rischio / divisione del ritorno economico che è imprescindibile!

Gli estensori geniali della legge sull’impresa sociale ignoravano tutto ciò? E i professori universitari che per anni ci hanno raccontato le magnifiche sorti e progressive dell’impresa sociale? Pochi l’hanno criticata fin da subito, e molti ancor oggi continuano a menarcela – scusate il latinorum – col fatto che abbiamo centinaia d’anni di esperienza nell’impresa sociale. Sarà vero, anzi è un’aggravante dato che con l’Impresa sociale (intesa come legge) abbiamo confermato che ci siamo dimenticati totalmente dei principi basilari che muovono l’economia, che muovono le persone ad investire.

In Inghilterra, in Francia, persino in Oregon si chiedono come fare in modo di attirare nuove risorse su imprese sociali offrendo un minimo ritorno economico in chi investe! Qui no, facciamo i puri! Noi, che abbiamo il machiavellismo e il levantinismo nel DNA! E pensare che bastava prendere una legge straniera, utilizzare Google translator e iniziare di là. Noi no! Quello che ci frega è di ritenere di essere più furbi di altri, e vediamo come siamo finiti.

Siamo finiti che l’Impresa sociale e la sua legge hanno fallito come dicono – anzi urlano – i numeri. Altraeconomia – e Vita ne ha ripreso i dati 2012 – afferma che a fronte di quasi 12mila cooperative sociali (lunga vita alle coop sociali, pur con tutti i loro limiti), esisterebbero 365 imprese sociali (ex legge) e altre 404 che hanno “impresa sociale” nella denominazione.

Possiamo dirlo con una certa fierezza: la legge sull’impresa sociale è una cagata pazzesca!

Fine dello sfogo.

Ora la notizia che ci fa scorgere un barlume in fondo a questo tunnel.

E’ stato presentato (ma forse non ancora votato) un emendamento nella Commissione referente al Senato in merito alla legge di stabilità (ex finanziaria) in discussione a Palazzo Madama. L’emendamento – presentato dai relatori – afferma

All’articolo 3, dopo il comma 39, è inserito il seguente: “39-bis. Al decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 3: 1) il comma 1 è sostituito dal seguente;

“1. 1. Con l’eccezione delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale e degli enti non commerciali di cui al successivo articolo 17, l’organizzazione che esercita un’impresa sociale destina gli utili non distribuiti, nei limiti di cui al successivo comma 3 a favore dei soci di cui all’articolo 4, comma 3, e gli avanzi di gestione allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio.”;

2) al comma 2, alinea, le parole: “A tal fine è”, sono sostituite dalle seguenti: “E’ comunque”, e la parola: “anche” è soppressa; 3) dopo il comma 2 è aggiunto il seguente: “2-bis. Una quota, non superiore al 50%, dell’utile netto di esercizio conseguito dall’impresa sociale può essere distribuita agli enti di cui al successivo articolo 4, comma 3, eventualmente presenti nel capitale sociale e proporzionalmente alla rispettiva quota di partecipazione allo stesso, fermi restando, con riferimento a detti enti, i limiti e i divieti previsti nel medesimo articolo 4 e in altra parte del presente decreto.”; b) all’articolo 5, la lettera b) del comma 1 è soppressa; c) il comma 1 dell’articolo 13 è sostituito dal seguente:

“1. La cessione d’azienda deve essere realizzata in modo da preservare il perseguimento delle finalità di interesse generale di cui all’articolo 2 da parte del cessionario. Per gli enti di cui all’articolo 1, comma 3, la disposizione di cui al presente comma si applica limitatamente alle attività indicate nel regolamento.”.”

In buona sostanza, al netto dei seguenti fatti, e cioè che

– è improprio utilizzare una finanziaria per parlar di tutt’altro (IS)

– è infelice proporre una modifica così importante senza chiedere nulla ai soggetti che potrebbero utilizzare la norma (e qui si capisce da un lato la maleducazione politica dei tecnici, e dall’altro l’irrilevanza del non profit: due conferme, quindi). Leggete questo commento su Vita

– è curioso immaginare che questa norma non produca un euro in più o in meno di entrate per lo Stato, come viene detto qui

al netto di tutto ciò, salutiamo con favore il fatto che qualcuno abbia alzato la testa e abbia detto “l’IS come è adesso NON FUNZIONA”.

E’ questo il miglior emendamento / correzione possibile? Non ne ho idea.

L’unica cosa che so è che se tempo fa, attirata dalle lusinghe cervellotiche, l’Agenzia delle Entrate aveva detto che l’Impresa sociale poteva essere detenuta da una Onlus (in quanto aveva più o meno le stesse restrizioni sulla divisione degli utili), ora potrebbe saltare persino questo minimo vantaggio che – secondo me con troppa leggerezza – l’Agenzia aveva dato all’IS.

Carlo Mazzini

AGGIORNAMENTO 17.12.12: Vita scrive stamattina che è stato ritirato l’emendamento. La prima occasione di modificare il porcellum del non profit – buona o non buona che fosse – è andata male.

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