Follow my lips: stralciate l’impresa sociale dalla riforma o siate più chiari

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Per una volta, fatemi il piacere di seguire un mio suggerimento o almeno di starlo a sentire.

L’Impresa sociale – pubblicamente da me definita come qualcosa che a parlarne porta sfiga – sta incasinando non poco il dibattito sulla riforma del terzo settore come già ho scritto qui.

Bene ha fatto il premier a scuotere il non profit proponendo una riforma e bene ha fatto il sottosegretario Bobba a seguire passo per passo la Riforma.

Male hanno fatto – chiunque l’abbia fatto, non si capisce chi – a scrivere un testo che già per i tecnici è incomprensibile. Alla domanda: “ma che cosa dice la riforma?” Non so rispondere. A quella successiva: “ma cosa porterà di buono al non profit?” Giro i tacchi imbarazzato. All’ultima prece: “su, saprai bene quali saranno le conseguenze sulla vita degli enti”, maledico chi non mi ha fornito un mantello invisibile.

Quindi, male fa Vita a soffiare sul fuoco (leggete qui) e a dar contro a Lepri che ha presentato 24 emendamenti, certo anch’essi correggibili, ma che comunque vanno in parte a rendere un po’ più comprensibile il testo. Peraltro è falso quello che dice Vita, ovvero che di norma il relatore non presenta emendamenti, considerato che la relatrice della Camera Lenzi ne aveva presentato a propria firma ben 31 (anch’essi migliorativi, pensate da che testo eravamo partiti).

La soluzione sarebbe a mio avviso quella di separare momentaneamente il discorso sull’IS dal resto ed iniziare … dal resto, ovvero dal non profit. Lì ce ne è già da riempire l’Enciclopedia Britannica. Alcuni temi sono stati toccati dal ddl, altri no. Alla rinfusa: si pensi a tutte le questioni sul fundraising! La citazione all’art 9, c 1, lett b)

razionalizzazione e semplificazione del regime di deducibilità dal reddito complessivo e di detraibilità dall’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche e giuridiche delle erogazioni liberali, in denaro e in natura, disposte in favore degli enti di cui all’articolo 1, al fine di promuovere, anche attraverso iniziative di raccolta di fondi, i comportamenti donativi delle persone e degli enti

per quel poco che si capisce, lega la raccolta fondi alle agevolazioni fiscali che – udite udite – interessano (secondo certe indagini) solo un donatore su 7 (qui a pag 15 trovate le percentuali dell’influenza delle deduzioni sulla donazione: complimenti alla Fundraising school per questa pagina riassuntiva delle principali indagini).

A mio avviso bisogna ribaltare la questione e chiedersi cosa, oggi, blocca le organizzazioni nell’ottenere fondi e disponibilità di beni, servizi e persone. Da lì, dall’esame della normativa, dall’esame delle più moderne tecniche di fundraising (e a volte rischiose dal punto di vista della compliance fiscale), si può pensare di scrivere qualcosa che abbia senso, che dia opportunità al non profit.

Ammetterei la non sospensione del discorso sull’IS solo ad una condizione, ovvero che mettano nero su bianco

a. di quale ritorno economico ai soci si parla (Lepri ha tirato fuori un’ipotesi)

b. di quali agevolazioni fiscali si ritiene di dotare l’IS (in passato Bobba le aveva negate e aveva ragione)

c. quali sono le condizioni (governance, compatibilità, conflitti di interesse, cessioni di marchi) sulla base delle quali la mamma organizzazione non profit può avere una figlia impresa sociale

d. nessuna onlus, nessuna dov o ape può diventare essa stessa IS (dato che porterebbe a casini contabili e gestionali inenarrabili)

Queste sono le condizioni a partire dalle quali a mio avviso si può reiniziare a parlare di IS.

Tutto il resto è noia! Anche le emendabilissime dichiarazioni del Ministro Boschi a Vita, qui.

Carlo Mazzini

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