Mai come in questi casi mi accorgo che è inutile dire e ripetere certe cose se poi chi decide non prende neppure in considerazione argomenti e contro-argomenti.
Io l’avevo detto già due anni fa che non sembrava un’idea meravigliosa far gestire il 5 per mille dal Ministero dei Beni e delle attività culturali, facendogli anche operare la scelta degli enti e il quantum da distribuire per ente. Ora ne abbiamo conferma dai dati reperibili da questo decreto dirigenziale, commentato sul Sole 24 Ore di oggi (pag 37, 17.4.14) da Elio Silva e dal sottoscritto.
Vi ricorderete che il 5 per mille della cultura è l’unico che non risponde ai sacri principi del 5 per mille, cioè del fatto che il contribuente inserisce il codice fiscale dell’ente prescelto destinando così quota parte della sua imposta a favore delle attività (in questo caso culturali) dell’ente.
Qui no; noi della cultura – devono essersi detti al Ministero nel 2012 – “fàmolo strano” (cit. Verdone).
E così il Ministero nell’ordine ha emesso un primo decreto attuativo delle iscrizioni giusto pochi giorni dopo la chiusura delle iscrizioni e poi ha gestito tutto lui, facendo diventare il 5 per mille alla cultura la barzelletta – come altrimenti definirlo? – dei 5 per mille.
I fatti sono: 5 per mille alla cultura 2012
Enti iscritti: 13
Soldi raccolti: 786.372,28 (poco più del 28° classificato al 5 per mille del volontariato)
Numero di sottoscrittori (si presume meno di 30.000)
Progetti divisi in tre fasce di importi: da 30.000 a 100.000; fino a 300.000; superiori a 300.000
Alle prime due fasce sono destinate (per ogni fascia) il 30%; all’ultima fascia è destinato il 40% dell’incassato.
Quale è il risultato?
La performance dei singoli enti non dipende da: quanto sono conosciuti, quale è l’awareness dell’ente, quanti aderenti sostengono l’ente, come sia gestito l’ente, la rilevanza delle attività su tutto il territorio nazionale …
Nulla di tutto ciò. Fàmolo strano? E fàmolo!
La performance dei singoli enti dipende da: quanti altri enti si sono iscritti in quella fascia (cioè hanno presentato progetti fino a …), se gli altri enti hanno richiesto una somma vicina al limite superiore per le prime due fasce (100 e 300mila), se, essendo iscritti all’ultima fascia, gli altri enti hanno richiesto il finanziamento di progetti milionari.
Pertanto la mia performance dipende non dagli “altri” intesi come contribuenti, ma dagli “altri” intesi come altri enti iscritti! E poi dicono che bisogna gestire un ente non profit come un’azienda, programmando, investendo … Qui non c’è l’alea normale del business, qui ci sono brezze di fortuna o folate di sfiga che ci innalzano o ci abbattono in modo del tutto casuale.
Faccio un esempio.
Per ottenere 27.000 euro, potevo presentare un progetto da 30.000 euro o da 300.000 euro; il prodotto non cambia perché avrei ottenuto ugualmente 27.000 euro.
Infatti gli enti iscritti nella prima fascia hanno ottenuto circa il 90% di quanto hanno chiesto, quelli della II fascia circa il 30%, quelli della III fascia circa il 2,6%.
Ma perché tutto ciò? Appunto perché ci sono variabili estranee a qualsiasi concetto di meritorietà, awareness ecc. Detto prosaicamente, ci vuole “lato B”.
E tutto questo bel meccanismo lo dobbiamo grazie a qualche dirigente del Ministero che si è creduto più furbo di altri!
Anche la Corte dei Conti ha detto che l’assenza di opzione da parte dei contribuenti “suscita perplessità, in quanto la mancata opzione è in contrasto con la ratio dell’istituto”.
Ma niente da fare, anche per il 2013 e il 2014 il 5 per mille alla cultura si farà così, con tutti i paradossi del caso.
E rimarremo a parlare ancora a lungo del non-sense ministeriale.
Carlo Mazzini
