Non profit e scandali: il verso giusto delle cose

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Scandali e non profit: Mafia capitale e cooperative sociali. Si sta scrivendo molto sugli ultimi fatti di cronaca relativi agli scandali romani, e viene da più parti levato il grido di allarme sul non profit che sarebbe risultato parte integrante del famoso mondo di mezzo.

A gridare lo scandalo e stracciarsi le vesti siamo buoni tutti; vediamo se ce ne è una qualche ragione, in campo non profit.

Una cooperativa sociale di tipo B fondata e presieduta da un ex carcerato in pochi anni aumenta di moltissimo il proprio fatturato. In assenza di scandalo (il fondatore e presidente sarebbe implicato in un’organizzazione di stampo mafioso) tutti noi plaudiremmo all’esperienza dove vi troveremmo redenzione, successo, solidarietà. La cooperativa 29 giugno vincerebbe premi (che ha vinto), riceverebbe targhe, riempirebbe gli scaffali di social awards e cretinate varie.

Una volta scoperto lo scandalo, compresa la ragione di tanto successo, tutti se la prendono con la cooperativa e i cooperanti; tutti dicono che non si poteva non sapere.

Nel prima c’è un NOI, nel dopo c’è un LORO.

Non è sbagliatissimo questo cambio di soggetto ma bisogna essere precisi.

Chi doveva fare i controlli? Regione, Centrali delle cooperative, banche che concedevano prestiti ecc?

E’ stato – finora – contestato qualcosa in relazione ai conti della cooperativa? A me non risulta, e pare che i soggetti preposti ai controlli abbiano controllato. La realtà è diversa: quello che si contesta è la causa ultima dell’aumento del fatturato, che non è quella di aver ricevuto più commesse dagli enti pubblici (effetto), ma ciò che sta dietro all’aumento delle commesse. Di per sé non è indicatore di malaffare ricevere molte commesse da EEPP.

Bisogna soltanto chiedersi quale tipo di relazioni si sono intrecciate per ottenere così tante commesse. E la domanda è: ma gli organi interni che controllano la legittimità delle attività, i vari organismi di vigilanza, i revisori e gli stessi consiglieri (quelli onesti) … tutta questa gente ha chiesto lumi sul tipo di rapporto che legava sempre più il portabandiera presidente all’amministrazione capitolina?

Coloro che dovevano controllare hanno la responsabilità del non essersi fatti la domanda fondamentale: ma perché danno a noi tutte queste commesse?

Se tutta questa storia insegna qualcosa, deve insegnarlo alle persone oneste. E una prima indicazione è la seguente: i rapporti con la pubblica amministrazione sono sempre a rischio, e per questa ragione – per mantenere alto il buon nome delle persone – bisogna fare molta attenzione a non “personalizzare” da una parte e dall’altra il rapporto. Bisogna evitare che il tutto nasca e finisca grazie all’incontro di due sole persone, il nostro presidente e l’assessore o dirigente che magari erano compagni di scuola (o vicini di cella).

Ovviamente, tutto ciò che riguarda la rendicontazione e l’accountability non c’entra nulla. Andate sul sito della cooperativa 29 giugno e guardate che belli i bilanci sociali della cooperativa, ricchi di dati rilevanti e dettagli importanti, certificazioni ISO, riconoscimenti da parte delle autorità, …

Tutto vero, tutto certificato. Quindi, quando vi dicono che con la nuova riforma si darà una stretta al malaffare, si separerà il grano dal loglio e banalità ulteriori, vi stanno contando una balla. Ripeto: la cooperativa 29 giugno faceva bene i lavori commissionati. Aveva ottimi bilanci.

La trasparenza nella rendicontazione è una condizione necessaria, ma non sufficiente.

Ma come si poteva scoprire quindi quello che i magistrati ritengono sia il “malaffare”?

Solo – lo ripeto – facendosi le domande giuste; certo, ci vuole coraggio a fare certe domande, soprattutto a certe persone. Quando poi vediamo “quelle persone” che si accompagnano ai potentati politici (destra e sinistra), forse è proprio questo il momento di mettere insieme un po’ di elementi e iniziare a darsi un po’ di risposte.

Carlo Mazzini

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