Riforma III Settore: lettera aperta ai Senatori

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Lettera aperta ai Senatori
Cari Senatori,
ora la parola passa a voi.
A leggere i commenti entusiasti dei vostri colleghi politici della Camera per la rapida approvazione del ddl di Riforma del III settore mi persuado che viviamo realtà differenti.
Ne prendo atto e mi chiedo se poteva essere diversa questa Riforma, se il Senato potrebbe o meno seguire altre direzione. E mi rispondo di sì.
La questione che ha tenuto banco tra maggioranza e minoranza è stata quella sull’impresa sociale. Dopo 9 anni di fallimento della prima legge c’era bisogno di una riformulazione, di una revisione completa. La prima cosa da fare era chiedersi: perché è fallita e chi è stato il furbone che l’aveva suggerita configurata in quel modo? Non mi sembra sia stata data risposta a queste due domande, come sarebbe stato importante fare, anche per evitare di farsi suggerire i cambiamenti dagli stessi che avevano indotto a legiferare così bene nel 2005/06. Cosa che ovviamente sta succedendo.
A noi piacciono le coazioni a ripetere!
Sull’impresa sociale sono venute fuori due posizioni: quella che riteneva che non c’entrasse nulla con il non profit (se si ammette la distribuzione degli utili) e quella che invece è bello così.
La questione è di una banalità disarmante.
E’ chiaro che ammettere la divisione degli utili (limitata) è un passo in avanti per attirare nuovi capitali. E ciò è positivo. E’ chiaro che con il non profit non ha nulla a che vedere. E questo è un dato di fatto. Non ha nulla di morale o immorale. Ammetto la divisione degli utili? Bene, non classifico più l’ente tra quelli senza scopo di lucro. Cosa c’è di bello o di brutto? Nulla, ripeto; è solo una classificazione diversa necessaria a dire chi sta dentro e chi sta fuori.
Se con il non profit non c’entra nulla, l’impresa sociale che si divide un po’ di utili ha attinenza con l’economia sociale, con un’idea di terzo settore che non coincide con il non profit (assenza di scopo di lucro) ma che lo comprende senza identificarsi.
Dato che dopo mesi e mesi di dibattito nei giorni scorsi Bobba ha dovuto spiegare – anche un po’ infastidito – ad un deputato che una cosa è no profit e altro è non profit, ci chiediamo che cosa abbiano fatto in tutto questo tempo.
Hanno speso mesi e mesi a scrivere emendamenti su emendamenti e poi non hanno chiarito al loro interno la differenza tra non profit e terzo settore?
Rispondendo un po’ piccato ad una collega della minoranza, il sottosegretario Bobba ha affermato nella seduta dll’1 aprile
“… vorrei che aveste chiara la distinzione fra no profit e not for profit, cioè fra attività che non producono alcun utile e alcun lucro e attività che producono un utile, ma che viene destinato a una finalità sociale. Se non si fa questa distinzione, alla fine, si va a sbattere contro un muro e non si capisce più di cosa parliamo”.
Ecco, appunto. Il muro, Bobba e tutti gli altri, se lo sono costruiti di fronte e cercano  di vederci attraverso!
Con buona pace di Bobba, il no profit non esiste. Chi è che per statuto non ha profitto? Nessuno. Negli enti non profit non si va alla ricerca del profitto ma si è ben contenti se si ha un “profitto” (avanzo di gestione) perché così il 2 di gennaio si hanno i soldi per pagare la bolletta. Quindi non si divide il profitto (che sperabilmente c’è) perché chi guida l’ente non ha mire lucrative sul risultato della gestione dell’ente. “That’s non profit”
E’ così difficile da capire? Evidentemente sì.
Qui, a parte l’ignoranza profonda di tutti, deputati nemici e amici del non profit, bisognava fare un’altra operazione.
Stralciare impresa sociale e servizio civile e concentrarsi sul … non profit. Andando a definirlo, andando a dire cosa significa distribuzione diretta ed indiretta degli utili e via così.
Nella melassa di buonismo, di riforma epocale (ah, ah), di citazioni a casaccio di dati Istat (peraltro da contestualizzare), di terzo settore che diventa il primo e di altre prese per i fondelli, si è invece perso davvero il senso della realtà e ci siamo trovati una norma delega con eccesso di delega – questo è chiaro – ad un Governo che se è rappresentato da Bobba come fulgido esempio di consapevolezza su cosa è il non profit, andiamo bene!
Quindi, cari senatori. Stralciate la parte dell’impresa sociale, perché può aspettare ancora qualche mese. Quello che non può aspettare è la riforma sul non profit che ha urgenze davvero maggiori rispetto a quelle delle imprese sociali. Dopo aver definito davvero il non profit (e averlo inserito in una legge) interessatevi dell’impresa sociale, che è materia interessante, ma che ad oggi non ha una rilevanza come tutti noi vorremmo (sì anch’io). Anzi, dopo, legiferando sull’impresa sociale, parliamo anche del conflitto di interessi (scusate la parolaccia) tra  non profit e profit del Terzo Settore. Quanto una non profit può partecipare in un ente con finalità lucrative. Chi si può sedere nei rispettivi CdA. Così fanno all’estero. Oggi, cari senatori, concentratevi su cosa non sta funzionando nel non profit.
Siamo coperti da una montagna di burocrazia inutile e quindi dannosa, che ci fa dichiarare il falso (è proprio così) ogni volta che mettiamo il naso in un ufficio pubblico, che ci fa saltare adempimenti obbligatori a nostra insaputa, che ci pone in un costante stato di incertezza e non sappiamo più a che santo votarci. Se telefono ad una DRE per chiedere se una sedicente Onlus è tale, può succedermi (mi è successo!) che mi si sbatta il telefono sul muso. Alla faccia dell’affidamento alla pubblica fede!
Senatori cari, è un appello accorato di un consulente che pur avendo una certa esperienza non sa più cosa fare per combattere il non sense continuo di un impianto legislativo che a confronto i quadri di Pollock sono molto più chiari!
Seguite questo consiglio! Togliete l’impresa sociale e il servizio civile, concentratevi su cosa è non profit, approfondite la materia fiscale, di legislazione speciale, quella civilistica. Non fatevi ammaliare dai sirenetti della Camera che dicono di essere del non profit, che vengono dal non profit, che sanno di cosa ha bisogno il non profit, che sono esperti del non profit.
Con l’aplomb che mi contraddistingue posso dirlo con una certa sicurezza:
Non ne sanno nulla, e come tutti gli ignoranti, pretendono di insegnare; anzi, in questo caso, di legiferare.
Fate vedere che è una pessima idea fare fuori il Senato, che il bipolarismo perfetto avrà le sue lungaggini ma ha anche aspetti positivi.
Fateci sperare nuovamente nella politica, ne abbiamo tanto bisogno!
Carlo Mazzini
Consulente di enti non profit sulla legislazione speciale
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1 commento

  1. beatrice Lentati on

    Caro Carlo,
    ti ringrazio per l’appello che formuli così chiaro e lucido ai nostri senatori e che sottoscrivo e condivido in pieno. Come consulente di fundraising, da più di trent’anni combatto ogni giorno con la burocrazia e con le leggi controverse cui, volente o nolente, deve fare riferimento il settore nonprofit. Come tu ben sai le normative cui si deve fare riferimento si rifanno la mondo profit, con molte controversie e soprattutto all’interno delle quali il nonprofit deve “adattarsi”, trovare degli escamotage per sopravvivere oppure, nei casi del nonprofit che tale non è in quanto disonesto, trovare la strada per evadere o evitare furbescamente leggi fatte male che danno adito a diverse interpretazioni. Come cittadina di questo nostro “povero” Paese che amo e che potrebbe essere il migliore del mondo, mi sento offesa e insultata dall’ignoranza e dalla presunzione di chi pretende di dettar legge senza conoscere né aver cercato di conoscere e imparare prima di legiferare.E’ vero che sono state fatte tante audizioni e sentite tante organizzazioni ma mi chiedo se gli interlocutori delle due parti parlassero la stessa lingua e se si siano intesi sui significati del loro scambio di informazioni. Basterebbe ispirarsi ai vari esempi internazionali (ma quelli adattabili alla nostra realtà) cui è facile accedere e da cui è possibile estrapolare quanto adattabile anche da noi. Non ci vuole molto a fare una ricerca, capire e trovare le soluzioni migliori. Basta un po’ di onestà intellettuale, di modestia e di umiltà, di tenacia e di pazienza e infine di competenza del settore: doti sempre più rare da trovare (ahimè!) e tanto meno unite tra loro . Una buona dose di colpa per essere arrivati a questo punto, ce l’ha anche il nonprofit Italiano che non si aggrega, non fa fronte comune. Ogni singola realtà va alla ricerca di vantaggi e soluzioni per sé o per la compagine di cui fa parte, temendo un confronto più ampio con troppe realtà eterogenee e con interessi diversi, e le ONP preferiscono arroccarsi intorno a tavoli “per pochi” con interessi propri ma molto lontani da quelli più generali e validi per tutto il settore. Ognuno si tiene stretto il suo piccolo orticello (più o meno grande che sia) in un contesto in cui, purtroppo, non riesce a vedere le erbacce infestanti che crescono sempre più veloci e abbondanti e che rischiano di contaminarlo. Concordo con te che il tema dell’impresa sociale in questa fase crea una ulteriore grande confusione: di fronte a quella ancora drammatica rispetto a profit- nonprofit- sociale- terzo settore ecc. (evito di aggiungere il termine fundraising altrimenti non ne usciamo!) . Il Senato potrebbe davvero dividere servizio civile e impresa sociale dal resto: sono temi importanti per la società civile e anche per il nonprofit , ma tutto qui. il nonprofit ora ha bisogno della massima attenzione! il resto può seguire a breve. Spero davvero che il Senato possa intervenire in modo forte, chiaro civile e senza pressioni politiche di alcun tipo e rimandi la legge allo studio per renderla migliore e davvero applicabile alle nostre realtà. . Grazie Carlo spero che la voce di chi, come te e come me, ha a cuore il mondo nonprofit da tanti anni, facendone parte come volontario, come utente, come consulente, e quindi conoscendolo sia dall’interno che dall’esterno, possa trovare qualcuno capace e con la volontà di ascoltare e di capire che si può e si deve fare molto di meglio e di più per questo settore.
    Speriamo bene!
    Beatrice

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