La riforma del terzo settore for dummies

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“Senti, Carlo: mi potresti dire di cosa parla questa riforma? Anzi no: per la mia organizzazione cambia qualcosa?” Molti clienti e amici mi assillano con domande di questo genere.
La domanda è legittima ma la risposta è incerta. Di base sappiamo che finché non verranno emanati i decreti legislativi non vi sarà nulla di certo, anzi di concreto.
Per cercare di dare una risposta mi sono creato uno schema mentale che vi ripropongo, nella speranza che possa essere utile.
Divido le organizzazioni in tre categorie e per ognuna cerco di dare risposte gioco forza parziali.

a. Onlus, organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, ONG (che comunque ad oggi sono onlus d’opzione e non più “di diritto)
Questi enti dovrebbero essere di fatto (non so se di diritto) enti del terzo settore (E3S) e pertanto ad essi dovrebbe essere assicurato il maggior livello di agevolazione, il più alto grado di semplificazione amministrativa. E’ previsto che le oltre 30 previsioni di deducibilità / detraibilità delle donazioni vengano ridotte e ci si augura che ciò non porti ad una riduzione del risparmio fiscale per i donatori o all’esclusione di certi comparti (cultura, ricerca scientifica ecc). Anche il 5 per mille dovrebbe essere razionalizzato dato che tutti i politici continuano a lamentarsi dei troppi iscritti alla misura, facendo finta di non sapere che sono loro (i politici) ad aver dettato le regole. In generale, bisognerà capire se le agevolazioni verranno graduate a seconda del “grado di nobiltà” degli enti. Sarebbe particolare avere un esercito di enti molto diversi per finalità, attività e modalità d’intervento cui venissero riconosciute le stesse identiche facilitazioni o agevolazioni.
Gli E3S dovranno iscriversi nel registro unico del terzo settore: non sappiamo se gli enti di questo gruppo (già iscritti nei rispettivi registri o anagrafi) saranno iscritti d’ufficio nel registro unico.

b. Associazioni riconosciute, fondazioni ed altri enti che realizzano attività di interesse generale.
E’ un comparto numericamente molto ampio che si porta dietro molte delle considerazioni di cui al precedente punto, e pertanto – se rientreranno negli E3S – saranno oggetto di agevolazioni e semplificazioni. Questi enti faranno parte degli E3S? Bisognerà fare molta attenzione alla definizione – mutevole nel tempo secondo la volubilità del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – di attività di interesse generale, in quanto quello è il primo criterio in/out per far parte degli E3S. Tutti gli E3S (anche quelli del punto precedente) potranno realizzare attività d’impresa in modo non stabile né prevalente, il che farebbe decadere la possibilità di costituire all’interno di un’organizzazione i charity shop.
Per tutti gli E3S sarà possibile assumere la personalità giuridica (essere quindi “riconosciuti”) attraverso procedure semplificate e si spera sciogliendo il nodo cruciale del patrimonio. Ad oggi ogni regione e ogni prefettura si è inventata una soglia di patrimonio minimo. Con la riforma si dovrà tener conto anche del rapporto tra il patrimonio netto e il complessivo indebitamento; il che porta a problemi di interpretazione sul fatto che l’indebitamento a breve è certo più pericoloso di quello a lungo e forse fare dei distinguo sarebbe stato opportuno. Inoltre, un ente appena costituito non ha debiti (!!!) e pertanto l’unico indicatore rimarrebbe il patrimonio messo a disposizione dai fondatori.

c. Altre associazioni, fondazioni, comitati.
Ci saranno enti che per loro natura e finalità non potranno iscriversi al registro unico e che quindi non saranno E3S. Dovrebbero rimanere enti non commerciali (profilo fiscale) oltre che enti senza scopo di lucro. Il “dovrebbero” è d’obbligo, in quanto la “revisione complessiva della definizione di ente non commerciale” (art 9) è stata collegata al perseguimento di finalità di interesse generale, il che è un controsenso. Il quesito è: possono esistere enti non commerciali che non perseguano finalità di interesse generale? A mio avviso sì, e se è così possono continuare a chiamarsi enti non commerciali? Dalla legge di riforma sembrerebbe di no.
Il fatto di rientrare o meno tra gli E3S dipende – come detto – da definizioni puntuali di attività, un po’ come ora succede con le Onlus; ci si augura che non si debba rimanere con il dubbio per 18 anni – appunto come per le Onlus – se un’attività è da E3S oppure non la è.
Rammento infatti che se un ente rimane fuori dal registro unico e quindi dalla definizione di E3S, le agevolazioni di cui ai prossimi decreti legislativi non lo toccheranno: di cosa vivrà quell’ente?

Ulteriore considerazione.
Sappiamo che chi ha ispirato e messo mano alla riforma ha detto che era giunta l’ora di “dividere il grano dal loglio” (scusatemi!). Al netto delle truffe (nessuna legge fa fuori ipso facto i malfattori), se si volevano creare due comparti di non profit per far accedere il minor numero possibile di soggetti – ad esempio – al 5 per mille, con la riforma si rischia che ne accedano molti di più (tutti gli E3S). Infatti all’art 9, c 1, lett c, si parla di 5 per mille cui possono accedere gli enti di cui all’articolo 1 che sono … gli E3S che saranno in ogni caso ben più dei 50mila ad oggi iscritti all’edizione 2016.

In sostanza: dovete chiedervi (non ora, ma comunque iniziate a porvi la domanda) se il vostro ente persegue finalità di interesse generale oppure no. In caso positivo sappiate che potrete ambire ad essere E3S.
In caso negativo, saranno stridori di denti e fuoco della Geenna.

Carlo Mazzini

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