Culi e cadreghe: cronache dal non profit profondo

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Si sa; la gente è stanca. Ma non di questo o degli scorsi governi.

No. La gente è stanca di suo. Le si piegano le gambe, le sente pesanti.

E quindi ha bisogno di un posto dove sedersi. E dato che non vuole andare a passare la giornata all’IKEA e le promozioni dei rivenditori brianzoli di mobili non attirano più, la gente – o forse è meglio dire “certa gente” – cerca di sedersi dove può.

No, non sulle panchine dei giardinetti.

Sceglie di sedersi in posti comodi, dove c’è altra gente che conta o che sembra che conti. Se, per dire, c’è da riempire un posto al Comitato interministeriale della promozione della barbabietola, i candidati si moltiplicano, la fila si allunga, i pretendenti esibiscono un curriculum che – signori miei – testimonia una vita spesa per la barbabietola da zucchero, da orto, e – ad abundantiam – da foraggio.

E così succede anche nel non profit, che, quando c’è da imitare il peggio dei nostri vizi, non si tira mai indietro.

Prima c’erano gli Osservatori del non profit; limitandoci a quelli del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, c’era quello sul volontariato e quello sulle associazioni di promozione sociale, noti luoghi dove un letterato avrebbe scritto “alla conferma del tempo perduto”. Le Onlus non avevano un osservatorio ma persino un’Agenzia che nei pochi anni di stentata sopravvivenza ha visto passare una serie di soggetti che, in gran maggioranza, sedevano a loro insaputa nel Consiglio.

Ma a parte la storia dell’Agenzia – che davvero merita un racconto tutto suo – quello che interessa è come la gente si comporta nei comitati, gruppi di lavoro, osservatori, istituiti a livello pubblico.

Ve lo dico subito. La gente si comporta da parvenu.

Le persone – o almeno buona parte di esse – credono di entrare nelle stanze dei bottoni e già che ci sono prendono in prestito taccuini e penne con il simbolo della Repubblica o di uno dei due rami del parlamento (l’ho visto fare, sotto lo sguardo annoiato e indifferente dei commessi)!

Se queste persone avessero letto il libro “Io sono il potere” (consigliatissimo!) capirebbero che non contano nulla né loro – la gente del non profit – né probabilmente l’interlocutore istituzionale.

Le persone si incontrano in questi consessi – vedi il Consiglio Nazionale del Terzo Settore istituito dal Codice – e alla prima riunione si danno di gomito col vicino per dire “hai visto che ce l’abbiamo fatta”, con sorriso beffardo, pensando tra sè e sè “me lo sono proprio meritato!”. Già alla terza riunione, dall’illusione si passa alla delusione, il sorriso muta in broncio per la consapevolezza di non contar davvero nulla.

E ciò che è grave è che nel Comitato, nell’Osservatorio, nel Consiglio, c’è qualcuno che dà l’idea di contare più di te e tu ti chiedi perché. E non trovi risposte. Se non il fatto che quel qualcuno fa parte della famosa organizzazione che strizza da così tanto tempo l’occhiolino ai potenti che ormai la chiamano Polifemo. O che quel tale ha un qualche ruolo nel sedicente Assembramento Italiano Unico di Tutte le Organizzazioni (aka A.I.U.T.O.).

E comunque sono tutti intrecciati; potessero, si sposerebbero tra loro; i nostalgici della monarchia metterebbero su una real casa del non profit, quelli di sinistra una comune. Per essere loro (e solo loro) ad occupare certi posti, per essere loro – e solo loro – gli interlocutori.

Ma a che pro? Se non sbaglio tutte queste poltrone e cadreghe (seggiole in milanese e in tutto il nord) sono “gratuite”, le si occupa senza remunerazione.

È vero: lo Stato non paga nulla e vuole tutto gratis, giusto per parlare di chi fa la figura del pezzente. Ma è anche vero che le persone sono giustamente pagate dagli enti che rappresentano. Quindi se si moltiplicano le cadreghe, si moltiplicano le possibilità di gettoni, rimborsi, emolumenti.

Ma qui “seguire i soldi” è sbagliato.

Qui interviene un altro fattore, ben più importante del denaro. Qui interviene la vanità, il narcisismo, il ritenere di essere indispensabili; se non fosse così, mi spiegate perché c’è gente che con un culo (che di norma conta due chiappe) copre fino a 20 cariche in comitati / osservatori / consigli di amministrazione? Ma capite che vita di schifo che fanno? Il loro calendario è un continuo susseguirsi di riunioni nelle quali non si capisce se si stia arrivando ad un qualche obiettivo, se l’obiettivo sia solo fare la riunione o se l’obiettivo sia reso impossibile dal niet del Consiglio di Stato o – peggio – dalla nebbia ministeriale che è più fitta di quella della val padana; una gimcana dove si sa dove inizia il percorso ma non si sa dove, quando e se finisca.

E se ti hanno chiamato a far parte del comitato perché ti ritenevano capace, conoscitore della materia, sensibile alle questioni (almeno così ti hanno blandito, i banditi), assisti a giochi nei quali non tocchi palla e se intervieni cercando di invertire la rotta che la riunione sta prendendo – che ti ricorda vagamente quella del Titanic – ti guardano strano, ti sorridono dandoti la pacca sulla spalla e vanno avanti “col ghiaccio dentro il bicchiere”.

E poi si chiedono con faccia stupita e bocca a cul di gallina chi sarà mai che ha deciso questi schemi di bilancio degli ETS dove sono presenti errori marchiani – tipo affermare che il 5 per mille è un’entrata da attività di interesse generale invece che da raccolta fondi, confondendo la natura con la destinazione.

Poi si chiedono dove sono finiti i tecnici di altissimo livello che, non avendo mai fatto raccolta fondi se non quella volta che hanno tirato su 50 centesimi dal selciato, dicono la loro sulla raccolta fondi e sulla fiscalità di tecniche di fundraising che non conoscono.

Noi invece ci chiediamo perché c’è qualcuno che continua a far finta di bacchettare i potenti – ai quali continua a far l’occhiolino anche nella riunione successiva – e non prende una buona volta la decisione dignitosa di dimettersi come importante segno di rottura, di interesse perché le cose cambino verso.

Ma che stupidi che siamo.

La gente è stanca.

Deve sedersi e – hai saputo? – hanno appena istituito un nuovo Comitato nell’altro ministero.

Andiamo, che parte la musica per il gioco delle cadreghe

Carlo Mazzini

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