Tutti vogliono fare lobby.
Rispetto ai centri di potere è giusto fare pressioni per far passare norme (legittime, eticamente irreprensibili, sia chiaro) che favoriscono il nostro ente.
Tutto sta nel confrontarci su ciò che è eticamente irreprensibile, appunto.
Facciamo un esempio.
La mia associazione vuol far passare una norma che la avvantaggia, la favorisce.
La domanda è: mi sono premurato di capire se è una soluzione win-win (leggi su wikipedia)?
Quali saranno le conseguenze a breve-medio termine sulla mia organizzazione, sulle altre organizzazioni, sul sistema?
Vado a modificare una legge, va bene; ma vado anche a modificare il senso di quella legge? C’è il rischio che ciò succeda? Posso mitigare questo rischio? In fondo, anche apporre una virgola, spostarla all’interno di una frase ha le sue belle conseguenze (ricordate: ibis redibis non morieris in bello).
Se mi faccio queste domande e agisco di conseguenza, vuol dire che ho una certa idea della lobby, del potere; qualcosa cioè che non sconfina mai nella prepotenza, ma nel saper fare (grazie alle amicizie – lecitissime, anzi, da coltivare) senza danneggiare alcuno.
Ancora; l’eventuale vantaggio competitivo che colgo dalla modifica della legge deve derivare dalla mia capacità di adeguarmi, non dall’impossibilità degli altri (dato che è stata fatta solo “su mia misura”) di utilizzarla.
Ma stiamo parlando del sesso degli angeli?
No. Sto parlando del senso di un mio articolo su Vita, relativo alla capacità delle Fondazioni Bancarie di andare a modificare la legge Onlus (art 10, D Lgs 460/97) in merito al concetto di beneficenza, intervenedo – come hanno fatto – sull’art 30 (comma 4).
A loro vantaggio, cioè a vantaggio delle Fondazioni di Comunità, loro filiazione; a vantaggio anche delle altre Onlus che fanno / faranno beneficenza.
A svantaggio della “certezza” dell’impiego finale delle erogazioni.
Ribadisco il concetto espresso su Vita n 3, 30 gennaio 2009, pag 7.
Il legislatore, a suo tempo, ha inteso costruire un recinto attorno alle Onlus, in modo che le risorse messe a disposizione delle Onlus (sulle quali si ottengono risparmi d’imposta considerevoli attraverso agevolazioni e minori adempimenti) vadano sicuramente
– a soggetti svantaggiati
– a favore di interessi immantinenti della società (protezione della natura, dei beni artistici)
– ad altre Onlus che poi le riversano nei due precedenti “settori”.
Se io apro ad altri enti non onlus, se il mio ente di beneficenza (onlus) può erogare anche ad altri enti senza scopo di lucro (non onlus), che effettuano attività tra le 11 delle onlus (l’universo mondo) e progetti di “utilità sociale” (che non vuol dire nulla), capite bene che il recinto, lo steccato, la difesa che il legislatore ha frapposto tra le Onlus e il resto del non profit cade.
Il rischio è a mio avviso molto alto.
Sarà come dice – nell’articolo a firma di G Meroni – il nuovo presidente di Assifero Bernardino Casadei: i controlli effettuati dalle fondazioni di erogazione sulle proprie erogazioni sono superiori ai controlli effettuati dal fisco stesso.
Sarà e ci fa piacere che sia così. O forse no, perchè con ciò si intenderebbe dire che il fisco controlla di meno (lo dice lui, non io).
Ma non è l’ente privato che deve assicurarmi e comunque basta con gli auto-incensamenti. Le fondazioni erogatrici (private, che derivino o meno da fondazioni ex bancarie) non sono soggetti pubblici (codificato, intendo).
Lo stato paga il risparmio che avvantaggia fondazioni erogatrici onlus e loro donatori, senza avere alcuna certezza di un ritorno adeguato di destinazione.
A fronte di fondazioni di comunità serissime, attente alla destinazione dei soldi, per nulla motivate nelle preferenze da simpatie politiche o partitiche, quante altre ONLUS potranno avvalersi della norma per trovare una via di fuga per certe risorse acquisite con lo status di Onlus?
In teoria … tutte!
Tutti, con una piccola modifica allo statuto, potranno aggiungere il settore “beneficenza” e andare ad erogare a
– parrocchie
– associazioni (ma anche) società sportive dilettantistiche
– circoli culturali
…
Poi … chi controlla l’impiego di questi fondi, che sono costati così tanto alle tasche del nostro Stato (cioè a noi)?
Sapete di cosa si ha bisogno? Di una di quelle Circolari dell’Agenzia delle Entrate, secche secche, che vada a dire come interpretare questa norma sciagurata.
Che vada a dire – come ha già fatto in altre occasioni – che l’attività prevalente di una parrocchia non è l’assistenza sociale, ma la professione del culto.
Quindi, se le fondazioni di comunità l’hanno fatto per dare i soldi alle parrocchie, nisba, fine, picche!
Pensate che fenomeni, se venisse fuori che il reale soggetto beneficiario della norma non potesse beneficiarne!
Questo è il risultato quando fai della lobby con la stessa disinvoltura con la quale ti dedichi all’ultimo dei tuoi hobby!
Carlo Mazzini
1 commento
bell’articolo complimenti. Bisognerebbe iniziare a costituire delle reti di sostegno e protezione nei confronti di onlus e associazioni che lavorano onestamente, cioè creare una lobby del bene. Chissà se in futuro ciò potrà accadere