2004: l’anno della pulizia etica del non profit?

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Le notizie dal non profit non sono confortanti; anche senza andare nella cronaca, il fatto stesso che l’Agenzia delle Entrate stia passando a setaccio tutte le onlus iscritte all’Anagrafe tributaria, provvedendo a dare una serie di informazioni ai propri uffici locali (circ 14/2003) e alle onlus stesse (DM 266/03), ci porta a pensare che dalle parti del Ministero dell’Economia il non profit venga visto più con l’occhio del sospetto che con quello del rispetto.

“Lo fanno nel nostro stesso interesse”, direte voi, aggiungendo “è ora che tirino fuori le mele marce …” e via di questo tono.

Analizziamo la questione. I casi sono tre.

Primo caso. Vengo scoperto iscritto con dolo all’Anagrafe delle Onlus, pur non avendone le caratteristiche, e parlo di dolo in quanto si configura un mio lucro personale (in quanto socio) nello svolgimento dell’attività promossa. Parlo di lucro, ovviamente per i casi riportati dall’articolo 10, comma 6 del D Lgs 460/97. Qui c’è poco da discutere, dato che la mia attività l’ho configurata in modo scientemente imprenditoriale e ho fatto leva sulla buona fede e sui buoni sentimenti per incassare soldi e risparmiare sulle tasse, ad esempio promuovendo una raccolta fondi a favore dei bambini eptadattili del Pleturistan, o chiedendo sottoscrizioni per la salvaguardia delle anatre zoppe dell’Alta Val Fischiana. Uno stinco di santo, ecco.

Il secondo caso è quello per cui ho interpretato in modo estensivo (e comunque non corretto) il complesso delle normative sulle Onlus e della prassi ad esse sottese (più di 100 documenti emessi dal legislatore e dall’amministrazione finanziaria in 6 anni!). Ad esempio, ho creduto che promuovere attività culturale a favore della cittadinanza nel suo complesso (e in misura non preponderante a favore di soggetti svantaggiati) senza ricevere per due anni consecutivi contributi dall’amministrazione centrale dello Stato fosse attività “da onlus”. Non mi sono informato bene, o, meglio, non sono stato consigliato bene, anche in considerazione del fatto che ho costituito l’ente armato di buona volontà ma senza conoscenze tecniche (tributarie, giuridiche) adeguate.

Terzo caso. La mia attività è border line; le interpretazioni di alcuni consulenti, dell’amministrazione finanziaria e di esperti di settore non coincidono, anzi divergono totalmente; è il caso, ad esempio, dell’attività di gestione delle case di riposo configurabile o meno come attività di assistenza sociale.

La casistica è quindi complessa, si va dal dolo alla colpa (più lieve che grave, a parer mio) per arrivare ad una situazione di stallo interpretativo; e le conseguenze? Ad oggi questi tre casi sono equiparati, dato che varrebbe per tutti la spoliazione economico e patrimoniale dell’ente (circ 168E/98) più sanzioni all’ente e agli amministratori (art 28, D Lgs 460/97).

Ci chiediamo se in epoca di condoni e salvacondotti non sia possibile definirne uno tagliato su misura a favore degli enti che ricadono nel secondo e nel terzo caso. Così, tanto per evitare un giustizialismo che poco avrebbe a che fare con il significato della giustizia.

Carlo Mazzini

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