L’aumento dell’IVA ci salverà dal taglio delle agevolazioni, ma …

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Dalle prime analisi della manovra che il governo Monti ha predisposto per salvare il paese (non credevo l’avrei mai scritto, ma è proprio così), una notizia mi ha colpito: l’aumento dell’IVA consentirà di evitare il taglio delle agevolazioni (deduzioni e detrazioni) di cui scrissi quest’estate (anche qui), taglio presente in una delle manovre estive.

Anche Vita mise in risalto la questione e mi diede spazio nel numero 29 del 29.7.11

Tremonti aveva battezzato con il simpatico termine “clausola di salvaguardia” una vera e propria mannaia che sarebbe scesa sul non profit e sui suoi sostenitori. Il tema era: se non si fosse provveduto a riformare fisco e assistenza entro settembre 2012, in automatico sarebbero state tagliate del 5% nel 2012 e del 20% l’anno successivo tutte le agevolazioni previste dal nostro sgangheratissimo sistema fiscale.

Già dicemmo che i tagli orizzontali era bene farli alle siepi e ai prati per tenerli “all’inglese”, non certo a misure agevolative che servono per suggellare una meritorietà sociale di enti, comportamenti, attitudini.

Comunque sia, questa del taglio avrebbe portato problemi enormi di natura tecnica, soprattutto con le deduzioni, come già spiegai negli articoli precedenti.

Dato che quei 4 miliardi per il 2012 e i 20 per il 2013 bisogna in qualche modo ottenerli, il governo Monti ha deciso di aumentare sia l’IVA del 21% sia quella agevolata del 10% fino ad un massimo di altri 2 punti percentuali.

Il timore precedente di contrazioni sulle donazioni a causa di una riduzione delle agevolazioni esce dalla porta, ma potrebbe rientrare dalla finestra, in quanto l’IVA colpisce il consumatore finale e il donatore (persona fisica) potrebbe contrarre le donazioni perché provvisto di un reddito minore a causa dell’IVA incrementata.

Ma quanto influenza l’agevolazione nella scelta della donazione? Non lo sappiamo.

E qual è la correlazione tra il livello di reddito e la propensione alla donazione? Idem, non lo sappiamo.

E poi non dimentichiamoci che l’aumento dell’IVA colpisce anche il non profit che è parificato a consumatore finale e pertanto la subisce come puro costo.

Facciamo i conti sul peso dell’IVA.

Un bene costa 100 + IVA. Prima del precedente aumento, all’ente costava 120. A settembre è aumentato a 121, tra un anno è possibile che aumenti a 123. Un aumento del 2,5% al netto dell’inflazione. Non una bella notizia, ma neppure un salasso inimmaginabile.

Se ragioniamo sul valore delle donazioni, il risultato non cambia ma è più chiaro.

Con l’IVA al 20% l’ente poteva acquistare, ogni 100 euro di donazioni, beni per 83,33 euro.

Con l’IVA al 21% l’ente può acquistare, ogni 100 euro di donazioni, beni per 82,64 euro (-0,8%)

Con l’IVA al 23% l’ente potrà acquistare, ogni 100 euro di donazioni, beni per 81,30 euro (-2,44%).

Quindi, a parità di donazioni, la capacità di spesa e di perseguimento delle finalità da parte dell’ente non profit diminuisce.

Inoltre, quando si parla di indici di efficienza, bisogna prendere in considerazione la variabile dell’IVA, in quanto se l’ente non profit realizzasse gli stessi risultati nel 2013 rispetto a quelli del 2012, vedrebbe comunque peggiorare le proprie performance in presenza di aumento d’IVA a causa di un elemento assolutamente estraneo alla sua capacità / abilità di essere efficiente.

In buona sostanza ci sarà un aumento di imposta che dal 20 al 21% incrementa del 5%, per poi, arrivando al 23%, aumentare del 15%. Attenzione, parlo del costo in riferimento alla sola imposta non al bene.

Infine, perdendoci in numeri e ritrovandoci in poche certezze (aumentano le imposte), possiamo dire ancora una volta che il piatto piange, e che forse è venuto il momento – per chi dice di rappresentare il non profit – di iniziare un dialogo con il governo per concordare come compensare l’aumento dell’IVA che per gli enti non profit rappresenta un mero costo indetraibile.

Is there anybody out there?

Carlo Mazzini

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