5 per mille alla cultura off-limits per gli enti

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Io me ne ero accorto da un po’ di tempo, ma per ragioni professionali non avevo potuto (voluto) scrivere nulla su questo blog.

La questione è semplice: il ministro Galan del precedente governo aveva promosso all’interno di una delle innumerevoli manovre della scorsa estate il 5 per mille alla cultura, anche su suggerimento di alcune organizzazioni non profit. Già scrissi che mi sembrava un’ottima idea perché consentiva ad un paese custode – malgrado le sue incapacità – di enormi ricchezze culturali di finanziarne la conservazione in modo semplice e diretto.

Purtroppo, per ragioni sconosciute, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali ha inteso modificare il senso del 5 per mille, ed invece di adottare il naturale schema logico “tu firmi e metti il codice dell’ente beneficiario ed io – Ministero – verso i soldi all’ente” ha scelto di aderire al motto di carlo Verdone “famolo strano!”.

Sia le bozze che le versioni definitive dei modelli delle dichiarazioni dei redditi recano infatti la casella del 5 per mille alla cultura con la sola riga per la firma del contribuente ma senza lo spazio per inserire il codice fiscale dell’ente beneficiario. Cosa vuol dire? Vuol significare che i soldi che gli ignari contribuenti affideranno allo stato firmando in quella casella andranno in un pentolone gestito dal Ministero, il quale – facendosi beffa persino di una pronuncia della Corte Costituzionale – sceglierà a chi darli e quanto dare.

Bravi! Da una logica di sussidiarietà fiscale ad una logica concessoria, quest’ultima caratterizzante uno stato che chiamava i cittadini sudditi, ma di certo ormai “impropria” per uno stato moderno.

Rammentiamo al ministro Ornaghi – già dimenticabile primo presidente dell’Agenzia per le Onlus (ops!) – che la Corte Costituzionale ebbe ad affermare con sentenza 202/2007

“Dall’intero decreto attuativo risulta, perciò, confermato quanto desumibile dalla lettura sistematica delle norme censurate, e cioè che la devoluzione della quota del 5 per mille dell’IRPEF ai soggetti beneficiari si realizza in base alla volontà del contribuente, sia pure con la necessaria mediazione dello Stato, il quale non effettua una spesa, ma si limita, in esecuzione del vincolo di destinazione impresso dal medesimo contribuente, a corrispondere l’indicata quota d’imposta ad un soggetto svolgente un’attività considerata dall’ordinamento socialmente o eticamente meritevole.”

ed inoltre

“Tale riduzione del tributo erariale è coerente con l’intento del legislatore di perseguire una politica fiscale diretta a valorizzare, in correlazione con un restringimento del ruolo dello Stato, la partecipazione volontaria dei cittadini alla copertura dei costi della solidarietà sociale e della ricerca. Per la concreta attribuzione del finanziamento, lo Stato, agendo – come si è visto – quale mandatario del contribuente, svolge un controllo non solo sulla qualità dei soggetti destinatari della quota d’imposta (attraverso la tenuta degli elenchi dei potenziali beneficiari di cui al d.P.C.m. 20 gennaio 2006), ma anche sull’effettività dell’esborso “etico-sociale” (attraverso lo smistamento, secondo le indicazioni dei contribuenti, delle quote riscosse).”

Capito? Lo Stato è mandatario, lo Stato controlla. Lo Stato, però, non decide. I contribuenti – cittadini che hanno raggiunto la maggiore età e quindi sanno scegliere da soli – decidono.

E’ la democrazia, bellezza!

Qui trovate le ragioni di protesta del presidente del FAI, Ilaria Borletti.

Carlo Mazzini

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2 commenti

  1. E’ uno stillicidio. Una guerra continua. Verrebbe voglia di mandare tutti a quel paese.
    Secondo me però c’è un problema generale a monte circa la titolarità dei soggetti a ricevere il 5 per 1000. Lo stato, nel suo complesso, ha già uno strumento di raccolta di fondi, coercitivo per giunta, che è le tasse. Il 5 per 1000 deve essere lascaito a soggetti non profit non pubblici.
    Per i beni culturali va bene raccolgiere i fondi, ci mancherebbe, ma a patto che tali soldi vadano ad un soggetto sociale, in cui è possibile come nelle associazioni, un controllo democratico e soprattutto la possibilità di valutare il rapporto tra la mia donazione e la capacità della organizzazione ad utilizzarli bene. ALlora gli enti pubblici dovrebbero rimettere alla società civile (con tutte le forme possibili) la gestione di beni che altriment non sono stati in grado di gestire (vedi Pompei). Certamente in questi soggetti ci possono (anzo devono) entrare gli enti pubblici.
    Grazie ancora a Carlo per i suoi costanti aggiornamenti qualificati.

    • Grazie Massimo per il tuo competente – e giustamente arrabbiato – commento.
      Tieni conto che io sarei anche per far entrare tra i beneficiari possibili le Sovrintendenze e gli altri soggetti pubblici, a patto che:
      1. rendicontino pubblicamente alla pari dei soggetti privati l’utilizzo dei fondi ricevuti
      2. la scelta se finanziarli o meno fosse del contribuente

      “… troppo cerebrale per capire che si può star bene senza complicare il pane”, diceva il poeta.

      cm

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