Attività commerciali e assenza di scopo di lucro: la grande confusione

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Non per fare i maestrini, ma quando si sbagliano i fondamentali, bisogna rinverdire proprio i fondamentali! Passi il fatto che l’uomo della strada sia ignorante, nel senso che ignori, ma non è sopportabile che i tecnici dei ministeri – forniti anche di solerti uffici legislativi – navighino a vista su concetti di base.

Parlo della differenza tra la realizzazione di attività commerciale e la presenza (o assenza) di scopo di lucro.

Ripassiamo con un’immagine. Immaginate di essere di ritorno da una gita in montagna. Volgete lo sguardo sul tratto di sentiero che avete fatto e verso monte vedete scendere il declivio: da lì arrivano – fuor di metafora – le vostre entrate. Proventi non commerciali (donazioni ecc) e ricavi commerciali (non importa se poi ci pagate o meno le imposte e quali imposte). A seconda della natura delle attività e dei rapporti con i terzi (rispettivamente donativi o per corrispettivo) le entrate si configureranno quindi come non commerciali o commerciali.

Torniamo alla metafora: ora volgete lo sguardo a valle. Carichi delle vostre entrate (chi se ne frega della loro natura, non rileva) decidete di raggiungere casa che è il vostro obiettivo (finalità) e la casa per il non profit è appunto il fatto che le entrate vadano non a favore di chi le porta nel sacco da montagna ma della casa stessa, della finalità.

Come dire: c’è un prima e c’è un dopo. Il prima è: come trovo le risorse per perseguire le finalità? Il dopo è: assodato che non voglio trattenere le risorse per me (assenza di scopo di lucro), le impiego per il perseguimento delle finalità.

Delle due, l’una. O avete capito la metafora (bravi) oppure, se non l’avete capita potete candidarvi a fare il tecnico legislativo di un ministero!

In una Circolare del Ministero dello sviluppo economico (3708/c/2018) relativa alle associazioni che rappresentano le professioni non regolamentate (L 4/13) si afferma

Quindi, al MISE scambiano la realizzazione delle attività commerciali con la presenza dello scopo di lucro! Una prece per loro … che sono in buona compagnia.

Infatti il Ministero dell’Economia nel 2012 scrisse il DM 200, in parole povere il regolamento sull’IMU. Dato che le esenzioni sull’IMU vengono riconosciute se svolgi con modalità non commerciali le attività istituzionali, il Ministero vergò l’art 3 del DM con queste parole

“Art. 3 – Requisiti generali per lo svolgimento con modalità non commerciali delle attività istituzionali

1. Le attivita’ istituzionali sono svolte con modalità non commerciali quando l’atto costitutivo o lo statuto dell’ente non commerciale prevedono:

a) il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione …;
b) l’obbligo di reinvestire gli eventuali utili e avanzi di gestione esclusivamente per lo sviluppo delle attivita’ funzionali al perseguimento dello scopo istituzionale di solidarieta’ sociale;
c) l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente non commerciale in caso di suo scioglimento …”

Capito? Anche il Ministero dell’Economia confuse – né mai corresse – la presenza di scopo di lucro (contenuto dell’art 3) con lo svolgimento di attività commerciali (titolo dell’art 3).

Questo errore marchiano palesa un’ignoranza notevole non solo sul non profit ma anche e soprattutto sulle questioni di base delle regole sulla convivenza civile tra persone e soggetti giuridici.

Mi permetto di farvi notare che questa ignoranza è “democratica”. E’ infatti indipendente da chi siede al Governo. Destra, sinistra o attuali brasiliani (giallo-verdi) non si accorgono degli strafalcioni dei funzionari ministeriali; a volte sono gli stessi ministri o deputati e senatori a portare scompiglio nel sistema delle regole.

Ma più spesso – e senza che ce ne accorgiamo – sono loro, i “burocrati” a seminare idiozie a larghe manciate i cui immangiabili frutti, poco dopo, siamo noi a raccogliere.

Carlo Mazzini

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